Sotto il Campanile 26 Gennaio 2020

Pubblicato giorno 26 gennaio 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
26 Gennaio 2020 – Foglio n. 97
L’amore compie meraviglie

 

“Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. … E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”(Lc 2, 51-52 ). Nei primi trentatre anni di vita Gesù non ha fatto niente di particolare che la testimonianza apostolica abbia ritenuto necessario tramandare nei Vangeli. È diventato grande con i suoi genitori e, come tutti i ragazzi di allora e di ogni tempo, giocava, andava a scuola per imparare a leggere e scrivere, aiutava il papà nella bottega di falegname, frequentava la sinagoga, pregava con i Salmi, ascoltava le Scritture, partecipava alla vita del villaggio, si interrogava sulla volontà del Padre e la faceva propria con decisioni importanti e definitive. L’esempio di Gesù offre un formidabile orientamento ai nostri giorni di cammino ordinario, quelli in cui “non facciamo niente di speciale”, se non sperimentare la bellezza straordinaria di vivere e costruire il futuro con determinazione e sacrificio.

L’unico episodio, che conosciamo di quel periodo, è il pellegrinaggio a Gerusalemme all’età di dodici anni. Sulla via del ritorno, obbedendo a un impulso interiore, Gesù lasciò la carovana all’insaputa dei genitori e si recò nel Tempio. Maria e Giuseppe lo cercarono affannati. Non lo ritrovarono in preghiera o nell’offerta del sacrificio, ma “seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava” (Lc 2, 46). Gesù investe la sua intelligenza stupefacente nel dialogo con gli uomini, per aprirli “alle cose del Padre” (Lc 2, 49). Spesso il Signore si nasconde per farsi trovare. La sana inquietudine del cuore, lo slancio che mai si accontenta ci ricordano che siamo pellegrini. Le fatiche del viaggio, le incertezze e i turbamenti non ci devono impaurire, fanno parte del cammino, che il Signore traccia per noi.

Giuseppe col silenzio abbraccia la vastità del Mistero e Maria, da parte sua, “custodiva tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2, 51). Si fidano alla cieca, convinti dalla semplicità dei segni che avevano visto. Esistono momenti inquieti, dove nel buio assoluto, siamo invitati a camminare verso la luce che non si vede. La voce del cuore, quella del Padre che parla in noi, ci dice di rischiare, vincere la sfiducia, osare ciò che sembra impossibile, perseverare.
È ancora vivo in noi il ricordo di Erika, la ragazzina sedicenne che uccise la madre e il fratellino assieme a Omar, il fidanzatino, nell’ormai lontano 2001. Tutto il Paese fu attraversato da un brivido di orrore. Si urlò al fatto epocale, un crimine mai sentito prima. Poi sul chiasso cadde il silenzio e iniziò l’opera dello Spirito.

Il bene non urla, lavora di nascosto, con riserbo, pudore. Cuce, rattoppa, medica, risana con piccoli gesti di tenerezza, di bontà, di comprensione, di perdono. Si serve di mani amiche, presenti quando altre non lo sono più, per portare a termine il suo lavoro. E Francesco, il papà di Erika, gli ha dato un grande aiuto.
In quel lontano febbraio 2001, quando il delitto era ancora caldo, aveva intuito che i familiari persi potevano essere tre, non due, a seconda del suo comportamento. Nel cuore in tempesta si faceva strada la domanda: salvare l’unica figlia rimasta o abbandonare anche lei? Dimenticarla, chiuso nel suo tormento, o usarle benevolenza, compassione, non perdere la speranza di riaverla un giorno accanto a sé? Francesco decise di non lasciarla, di starle vicino, come un padre, come ogni papà della terra. L’amore vero è fedele, fermo, incrollabile. Quando pare soccombere e venir meno per la violenza del male, riemerge con prepotenza, più forte di prima.

Un giorno alla volta, assieme a quelli che hanno scommesso con lui sulla rinascita della figlia, ha lavorato in silenzio, lontano dalle sirene della notorietà, contribuendo a qualcosa di grande. Ed Erika, anno dopo anno, è approdata alla normalità, la vita di tutti, una laurea, il matrimonio – notizia di qualche settimana fa. Dallo scempio più oscuro e inaudito è sbocciato un germoglio di bene. Il profondo degli abissi, che molti avrebbero voluto mortale come una tomba, definitivo, irrimediabile, ha generato una nuova creatura. Sono i miracoli dell’amore. Nella famiglia brilla lo splendore del volto di Dio e la sua gioia è l’uomo che vive.
Nella presenza silenziosa di Francesco e nella disponibilità delle sue azioni vedo scorrere l’intera storia umana, che parte e approda nelle mani di un Padre, misericordioso oltre ogni capacità e ragionevolezza. È la storia di noi tutti, fragili e peccatori, che speriamo di non venire mai abbandonati, ma di essere cercati e salvati da un amore più grande dei nostri sbagli.

don Franco Colombini