Sotto il Campanile 26 novembre 2023

Pubblicato giorno 24 novembre 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

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III DOMENICA DI AVVENTO
26 Novembre 2023 – Foglio n. 238
“Egli era la lampada che arde e risplende” (Gv 5, 35)

Il cristiano è “colui che attende il Signore”. Così scriveva John Henry Newnan. La mia memoria
va a chi mi ha insegnato a balbettare parole e gesti di fede. Ricordo la nonna che al mattino,
mentre mi preparava per la scuola, mi faceva dire preghiere semplici, che non ho più dimenticato. E prima di uscire di casa recitavamo insieme l’Angelo di Dio, perché mi proteggesse.
Ho scolpito indelebile nell’animo l’esempio della mamma che, dopo un turno di lavoro alla domenica mattina sui telai, inforcava di nuovo la bicicletta per tornare a Magenta ad ascoltare la Messa, perché nel mio paesello non veniva celebrata di pomeriggio. Mi si stringeva il cuore vederla andar via nel sole, sotto la piaggia o la neve. Ma capivo che andava ad incontrare Chi era tutto per lei.

E l’immagine del papà, che con la sua grande mano accompagnava la mia, più piccola e incerta, tracciando il segno della croce, quando ogni sera invitava la famiglia a fermarsi per la recita del Rosario.

Più avanti fu l’incontro con preti santi e lo sguardo accogliente, carico di amicizia, dei “più grandi” dell’oratorio. E ancora la
pazienza, la gioia, la bontà della mia catechista Luigia (che allora si chiamava delegata).
Come mi piaceva stare con lei! Sono coloro che mi hanno generato alla fede, dai quali ho ricevuto la luce e il calore di Dio.

Uomini e donne per nulla preoccupati di apparire, ma di farmi vedere il Signore, che da quel momento non ho più lasciato.

In queste settimane sento tanto parlare di stragi, guerre, violenze, distruzioni, persino di “bravi ragazzi” che uccidono.

Si invocano leggi più dure, corsi di formazione adatti ai tempi, una nuova politica planetaria.

Io credo che mai, come oggi, l’umanità sia affamata di Dio e cerchi “lampade” per poterlo incontrare.

Mi ha fatto pensare la riflessione di Marina Corradi, apparsa su Avvenire il 19 Novembre con il titolo “Bimbi vittime, madri impotenti”
BIMBI VITTIME, MADRI IMPOTENTI
All’alba del 15 novembre, mentre i carri armati israeliani circondavano l’ospedale Al-Shifa a Gaza, girava sul Web un video girato all’interno di un reparto. Degli infermieri si affannavano a spostare dalle stanze invase dal fumo i feriti sulle barelle. Ma nel caos si intravedeva un bambino sui tre anni, solo, stupefatto, in mezzo a un corridoio.

Smarrito forse, o senza più nessuno che gli badasse. Nella sua faccia levata verso l’alto, come a cercare
qualcuno, si leggeva chiara una domanda: dov’è la mamma, perché non arriva?

La sola domanda che può fare un bambino, mentre attorno si spara.
Domani, 20 novembre, è la Giornata per i diritti dell’infanzia. Personalmente ho il dubbio che ci siano troppe Giornate. Per i diritti dell’Uomo, delle donne, dei gay, dei migranti, e tante altre. Cento giornate per affermare autorevolmente, in prestigiose assemblee, dall’Onu a Strasburgo a Bruxelles, che intoccabili sono i diritti di ciascuno.

Dell’infanzia, naturalmente, prima di tutto: scritti chiari in poderose convenzioni, da ogni Stato civile sottoscritte. Parole
nobili, giuste, in cui pure si è creduto ma, spesso, è solo carta. Poi c’è la realtà: forse mai, da decenni, drammatica come in questi ultimi mesi. Che quattro milioni di bambini in Sudan rischino la morte per fame non fa eccessivamente notizia, perché il Sudan è lontano.

Che muoiano invece, entro i confini dell’Europa, i figli degli ucraini, che siano deportati in Russia e rieducati a dimenticare la loro origine, ci ha atterrito. Ma è accaduto poco più di un mese fa ancora di peggio, l’inimmaginabile: il massacro dei bambini nei Kibbutz israeliani, non un “danno collaterale” di bombardamenti, ma un voluto, pianificato eccidio per annunciare l’annientamento di Israele. Come un pogrom, nell’anno 2023. Sono mai stati così sbaragliati i diritti dell’infanzia nel “nostro” mondo, dal 1945 ad oggi?

Poi, la vendetta: quelle decine di migliaia di bambini fra le macerie di Gaza, orfani, in marcia nella polvere, senza tetto né acqua.
E i prematuri nelle incubatrici dell’ospedale di Al-Shifa, morti per mancanza di carburante nei generatori?

Verrebbe, quest’anno, della Giornata dei diritti dell’Infanzia, da non parlare per un senso di pudore.
Dell’assedio di Al-Shifa mi è rimasta negli occhi un’altra faccia, quella di una donna. Una palestinese con un ragazzino fra le braccia, per terra, in un cortile devastato. Porta un velo sul capo, come le donne del suo popolo. Il viso pallido, gli occhi socchiusi, potrebbe essere ferita, o semplicemente sfinita. Un altro bambino le appoggia le mani sulla spalla, come a proteggerla.

Il viso della madre con il figlio fra le braccia è, pure nel dolore, bello. E sotto a quel velo l’accostamento istintivo è inevitabile: sembra una Madonna. Le mani smagrite custodiscono come possono il capo del ragazzo, che non ha più la forza di proteggere.

Come una Madonna ai piedi della Croce, altrettanto inerme. Secoli di iconografia cristiana, di volti mariani nei capolavori nelle chiese d’Occidente, affiorano alla memoria davanti a quella immagine dall’ultimo assedio di Gaza. Laggiù, in quella stessa terra, ancora. La donna della foto è palestinese. Ma sono certo che la stessa espressione avevano le madri ebree asserragliate
nei nascondigli dei Kibbutz, terrorizzate, il 7 ottobre, mentre fuori scoppiava l’inferno.

E parevano madonne, credo, anche le deportate sui treni piombati, che stringevano a sé i bambini nel lento, cupo sferragliare dei convogli in viaggio verso l’annientamento.
Per ogni soldato che imbraccia il mitra, per ogni colpo di cannone, mille donne abbracciano i
loro figli. A Hiroshima , a Nagasaki, a Dresda, dove le città e gli uomini sono diventati cenere,
nell’ultimo istante mille donne stringevano fra le braccia un bambino.
Il gran parlare sui diritti dell’infanzia è vano, se le madri sudanesi, yemenite, siriane, ucraine,
israeliane, palestinesi, finiscono nel tritacarne di guerre che non distinguono e non rispettano
i civili. Perché le prime garanti dei bambini sono le loro madri, che in ogni teatro di sangue
se li tengono avvinti, come ciò che si ha di più caro.

E in quell’abbraccio ostinato, sperando contro ogni speranza, paiono madonne davvero – nello stesso gesto della Pietà michelangiolesca. Milioni di donne anche stanotte veglieranno, dall’Ucraina al Sudan, alle prigioni
per migranti in Libia, e nei barconi alla ventura sul Mediterraneo agitato, i loro figli, per cui
domandano vita. (E forse è per queste schiere di sconosciute madonne, per le loro preghiere,
che ancora Dio ha pietà e di tanto male ancora ci perdona).

don Franco Colombini