Sotto il Campanile 27 Febbraio 2022

Pubblicato giorno 26 febbraio 2022 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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Domenica del perdono
Ultima dopo l’Epifania
27 Febbraio 2022 – Foglio n. 174

Oggi è “la domenica del perdono”. Uno dei nomi
più belli di Dio. Dio è perdono. Da sempre si
è manifestato “misericordioso e pietoso, lento
all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34, 6).
Gesù ne è l’incarnazione più luminosa. Sfondò
l’invisibile per farci conoscere il suo volto di Padre, carico di amore illimitato, che nessun tradimento riuscì a spegnere, anzi lo accese ancora
di più, fino a divampare in una passione travolgente, che lo condusse alla morte.
Un giorno, mentre attraversava la città di Geri- co, Gesù vide un uomo di nome Zaccheo appollaiato in cima a un albero di sicomoro.
“Cercava di vedere chi era Gesù” (Lc,
19, 3). Lo desiderava con tutto il cuore. Era piccolo di statura e davanti aveva
una lunga barriera di schiene. Come d’istinto si arrampicò tra i rami, per non
lasciarsi sfuggire un’occasione, che forse non si sarebbe più ripetuta.
Quando Gesù fu vicino, alzò gli occhi e lo chiamò per nome. Non l’aveva mai visto
prima e già lo conosceva! Non c’è persona o situazione che in lui non trovi
empatia, risonanza profonda, compassione.

Simone Weil scrisse: “Una delle verità fondamentali del cristianesimo, verità
troppo spesso misconosciuta, è questa: ciò che salva è lo sguardo”. Zaccheo,
l’adultera, la samaritana, Pietro e tanti altri nel Vangelo devono la salvezza
allo sguardo misericordioso di Gesù. Li ha letti nel profondo e li ha amati,
risvegliando il meglio di sé, l’essere più vero e autentico: “Ecco, Signore, io
dono la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (Lc, 19, 8).
Nulla avviene per caso, nemmeno la visita di Gesù alla città di Gerico.

Coincidenze e sincronie sono varchi misteriosi della nostra anima verso il Gran- de Mistero, che ci circonda da ogni parte e ci viene incontro. Rivelano la
disponibilità di ogni essere umano ad accettare i disegni divini con la tenace
volontà di adattarli al meglio della propria vita e manifestano quell’implacabile
e serena severità, con la quale Dio persegue ogni giorno l’attuazione del suo
disegno d’amore.
Ogni tempo ha i suoi nuovi poveri, scartati, dimenticati. In passato negli strati
più bassi della società si incontravano emarginati, sotto-proletari schiacciati
dalla borghesia, non integrati, ladri, prostitute, ragazzi di vita.
Poi arrivò l’epoca dei disadattati, dei dimessi dagli ospedali psichiatrici, drogati e alcolizzati.
Oggi è il momento degli immigrati. Vengono da fuori del mondo, da civiltà
diverse, lontane, estranee. Non hanno niente. Sono bisognosi di tutto. Sperano di poter un giorno spartire i prodotti della nostra storia. Pochi ce la fanno.
Spesso mi passano davanti agli occhi le tragedie dei vinti, soprattutto alla sera,
quando rivedo gli infiniti volti che ho incontrato. C’è dell’ingiustizia nella battaglia
che hanno perso. Combattevano contro il destino, che sarebbe potuto essere
diverso, se avessero incrociato uno sguardo amico, come quello di Gesù; se
fossero stati accolti e aiutati.

Avevano slancio, fede, eroismo, follia, quando salirono a centinaia sui barconi
fatti per poche decine di persone e speravano di arrivare, sapendo di non avere
benzina, radio, cibo, acqua, giubbotti salvagente. Vengono per smettere di morire. I vinti hanno dignità, orgoglio, onore. Interpellano la coscienza del mondo.

Ricordo Rachid. Giunse in Italia su una carretta del mare. Passò i primi anni in una
baracca sulle sponde del Naviglio tra sterpaglie, topi, serpi, nutrie, scarafaggi. Di
notte andavo a trovarlo. Gli portavo le medicine, il cibo, le bevande. Ci facevamo
compagnia vicino al fuoco, attenti a non far bruciare il giaciglio, i pochi vestiti, le
coperte. D’inverno ci scaldava e d’estate teneva lontano le zanzare. Parlavamo
della patria lontana, i genitori, la famiglia, le difficoltà del presente, i sogni futuri. Non si lasciò incantare dalle promesse di guadagni facili. Lavorò tosto, con
buona volontà, accettando i mestieri più umili e malpagati. Metteva da parte ogni
centesimo. Ne conosceva il valore per averli sudati a fatica. Oggi, poco più che
trentenne, ha una moglie, due splendidi bambini, un lavoro dignitoso. Vive in una
bella casa accogliente ed è felice.
La guerra semina morte e distruzione. È un crimine solo pensarla. Anziché far
parlare le armi per risolvere i miseri calcoli geopolitici del potere, è meglio ascoltare il grido dei poveri, provvedere il pane agli affamati,

costruire scuole e ospedali, bonificare le paludi, portare acqua nei villaggi, operare per una economia
a misura d’uomo, lavorare per la giustizia. Zaccheo era ricco di beni, ma triste
dentro. Un povero uomo. Gesù l’ha visto, come solo Dio sa vedere, e gli ha cambiato la vita. Il suo sguardo buono, posato sull’umanità, può creare ancora oggi
un mondo migliore.
In gergo si chiama “tightrope”, corda tesa. È il momento peggiore di una vicenda,
perché all’improvviso tutto precipita senza alcuna possibilità di tornare indietro.
Fu così nel 1914, all’indomani dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando.
Tutto si poteva pensare, tranne che si sarebbe scatenata una guerra mondiale. Anche allora la corda era tesa e nessuna vi badava. Esplose e divampò
“una inutile strage”.

Poi il passato torna e presenta il conto, dal quale è difficile, talvolta impossibile,
liberarsi. È successo a un medico della Gestapo. A 40 anni dalla fine della guerra, nel 1984, andò a bussare alla porta di Maiti, la donna partigiana che aveva
fatto arrestare per la militanza nella Resistenza francese. L’aveva ridotta in fin di
vita con violenze e percosse indicibili, che le causarono danni permanenti ai centri nervosi.
Voleva trovare un po’ pace per quel breve tratto di vita, che il cancro
ancora gli concedeva. Desiderava riparare i crimini commessi, scrollarsi dalla
coscienza il mostro, che lo divorava col rimorso. Temeva di morire deformato
dal male, di cui si era fatto strumento e complice. Come fare? “Con l’amore – le
rispose la donna, che aveva cercato disperatamente – . La sola risposta al male
è l’amore”.
Il bene è un sentiero che tutti vedono e pochi percorrono. Léo lo ha fatto, in
extremis, ma lo ha fatto. Gli ultimi sei mesi sono stati un’offerta di sé agli altri.
Il perdono della vittima gli aprì uno squarcio di luce nel buio del cuore. Non ho
alcun dubbio che quel Dio, che aveva combattuto tutta la vita, l’abbia salvato.
don Franco Colombini