Sotto il Campanile 27 Novembre 2022

Pubblicato giorno 26 novembre 2022 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

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Terza Domenica di Avvento
27 Novembre 2022 – Foglio n. 201
“Felicità perenne splenderà, fuggiranno tristezza e pianto” (Is 35, 10)

“Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato.

Tu eri dentro di me e io fuori. E là ti cercavo.
Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me, ma io non ero con te.

Mi tenevano lontano da te quelle creature, che non esisterebbero, se non esistessero in te.

Mi hai chiamato e il tuo grido ha squarciato la mia sordità.

Hai mandato un baleno e il tuo splendore ha dissipato la mia cecità.

Hai effuso il tuo profumo, l’ho respirato ed ora anelo a te.

Ti ho gustato ed ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio della tua pace”.

Sono confidenze tratte dalle Confessioni di Sant’Agostino, Padre della Chiesa, vissuto tra il quarto e il quinto secolo. Fotografano una dinamica della fede molto diffusa, che a stento viene riconosciuta.
Siamo troppo ripiegati su noi e incapaci di guardarci “da fuori”. Fatichiamo a leggere la nostra vita, il libro più prezioso che ci è stato consegnato. Lo ignoriamo, ci passiamo sopra o lo sfogliamo quando è troppo tardi. Eppure proprio qui si trova quello che si cerca invano per altre vie. La vicenda di Agostino ci aiuta a capire. Una giovinezza disordinata, bevitore, giocatore, donnaiolo, con un figlio avuto da una relazione con una ragazza di cui non si conosce il nome. La mamma Santa Monica con pazienza e tante preghiere lo aveva indirizzato al cristianesimo, che presto abbandonò per passare al Manicheismo. Poi finalmente la conversione. Quest’uomo fu un grande ricercatore della verità. La raggiunse, esaminando la sua vita, notando in essa i passi silenziosi e incisivi della presenza del Signore.
Rileggere la propria vita è molto più di un esame di coscienza. Significa scorgere gli indizi che il Signore vi semina.

“Nell’uomo interiore abita la verità”.

Chiunque si sente smarrito, deluso, sconfitto, lontano, inquieto, chiuso nel pessimismo più nero, può uscire da questa spirale. Il “rientrare dentro di sé” permette di cogliere sfumature, dettagli, parole, eventi nascosti, che diventano aiuti preziosi. Una lettura, un servizio, un incontro, a prima vista ritenuti di poca importanza, nel tempo trasmettono la pace che si cerca, la gioia di vivere, la luce per discernere. Aprono vie nuove. Il bene è nascosto, silenzio- so. Richiede uno scavo continuo, lento, come la goccia d’acqua che spacca la pietra. Lo stile di Dio è discreto. A Lui piace andare senza far baccano, in umiltà, cuore a cuore. È come l’aria che si respira. Non si vede, ma ci fa vivere. Ce ne accorgiamo solo quando viene a mancare.

I puri di cuore vedranno Dio (cfr Mt 5, 8).

Credere in Gesù di Nazareth, come Signore e Salvatore, non è stato facile nemmeno per Giovanni Battista. In carcere fu assalito dai dubbi. Quello stesso Gesù, che aveva identificato come il Cristo, non corrispondeva all’idea di Messia, che il popolo aspettava. Si era troppo sbilanciato sui poveri e gli emarginati. Tutta brava gente, che però non potevano costituire un esercito in grado di scacciare gli oppressori. Gli era giunta voce che non separava i giusti dai peccatori. Anzi, li andava a cercare, si fermava a tavola nelle loro case.

Preferiva i pubblicani e le prostitute ai sacerdoti del tempio. Giovanni non sapeva più cosa pensare. Così gli fece una domanda diretta: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11, 3). Una presa di posizione che ci conforta! Se una roccia come lui, che sfidava il vento del deserto, venne preso dal dubbio, allora c’è spazio anche per le nostre perplessità. Ci sono giorni nei quali gridiamo con sicurezza la gioia di credere e altri nei quali siamo messi alla prova dalle tante incertezze e dalla paura.
Gesù gli rispose elencando i fatti. “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete” (Mt 11, 4). Non arretrò di un centimetro riguardo al suo operare. Agiva da Messia. Faceva cose che non minacciavano. Guariva, consolava, perdonava, dava speranza, liberava dagli spiriti cattivi. Il Figlio di Dio si era presentato nel- la storia dandole un senso, riempiendola, soprattutto per coloro che giacevano feriti e oppressi sotto il peso degli eventi. I segni indelebili della sua presenza lo indicavano come “l’Agnello di Dio” che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 36).
Ora si avvicina anche a me, a te, a tutti. È Natale. “Nessuno può strappare da te Cristo, se tu stesso non ti strappi da lui” (S. Ambrogio).

Era martedì sera, l’ora in cui si rincasa. Una sera come le altre. All’improvviso una brutta notizia ci lasciò col fiato sospeso, come se il cuore per un istante avesse mancato un colpo. A Przewodow, al confine fra Polonia e Ucraina, alcuni missili erano caduti su una fattoria, uccidendo due persone. Il mondo entrò in fibrillazione. Tutto ciò cui normalmente pensiamo – il lavoro, la salute, le vacanze, il mutuo da pagare, un bambino in arrivo, il Natale – rimase come sospeso. Era arrivato l’incidente tanto temuto che poteva scatenare un conflitto mondiale. C’è
mancato un soffio. Siamo stati a un passo. La guerra lontana si era fatta vicina.

Per un istante ci è apparsa chiara l’assurdità degli arsenali schierati, gli armamenti puntati su un possibile nemico, le navi militari in giro per il Mediterraneo con il carico di missili a potente gittata e milioni di esseri umani lasciati morire senza pane né acqua. Sono i segni dei tempi. Fanno pensare. Lo Spirito agisce nella storia, parla, indica la rotta. “Ci sarà una strada appianata e la chiameranno via santa” (Is 35, 8). L’uomo saggio la percorre, ascolta, prega, sceglie le opere che danno la vita, costruisce la pace, lavora per la giustizia. “Quando riesco mi
faccio accompagnare nei paesi occupati e porto un po’ di cibo che lì manca”.
Così Svetlana, una dei tanti poveri di guerra che vive di stenti, con qualche aiuto umanitario, tra le macerie di una casa bombardata, al freddo, nel buio. Ogni giorno sfida la morte. Ciò non rientra negli schemi umani. Li ha superati infinitamente. È la resistenza degli ultimi, di un piccolo resto che crede all’amore.
don Franco Colombini