Sotto il Campanile 28 aprile 2019

Pubblicato giorno 27 aprile 2019 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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II Domenica di Pasqua
28 Aprile 2019 – Foglio n. 71
“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20, 29)

Per i discepoli la morte di Gesù fu un grande scandalo, il totale fallimento di un uomo.

La ferocia della croce li aveva sconvolti. Tutti erano fuggiti per la paura, abbandonandolo nella mani delle guardie del Sinedrio. Solo Giovanni ebbe il coraggio seguirlo fino al Calvario. Non avevano affatto visto nel Signore Crocifisso la manifestazione della gloria del Padre e dell’amore di Dio, ma piuttosto la fine delle loro speranze.

Dopo la resurrezione, Gesù andò a cercarli ad uno ad uno, con infinita pazienza; li raccolse attorno a sé, insegnò loro a riprendere contatto con la vera realtà, che è quella di Dio presente fra noi con la sua forza, anche nelle situazioni più povere ed oscure.  Tommaso rappresenta l’uomo chiuso al mistero. Non è facile leggere i segni della presenza di Dio nel mondo. Alcuni li scorgono subito, altri arrivano dopo e con fatica.

A tutti Gesù amabilmente si rivela, non taglia fuori nessuno, nemmeno gli scettici che sembrano i più refrattari e lo respingono. C’è un modo e un tempo che il Signore conosce. Così ha fatto con Tommaso. Ha cercato la maniera giusta, adatta a lui, diversa da quella della Maddalena, di Giovanni, di Pietro, degli altri discepoli. A questa fiducia ci educa oggi la Divina Misericordia. “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (Lc 3, 6) e sarà Lui a manifestare il suo volto. Tommaso incontrò Gesù quando si riunì ai “suoi”, accettò di stare con gli altri apostoli, anche se non li capiva a fondo.

Il Signore Risorto vive nella comunità dei credenti, ci viene vicino, si fa vedere, parla, spalanca gli sguardi alla sua presenza, scalda il cuore, strappa dalla solitudine, riempie di vita le membra stanche e sfiduciate, manda nel mondo a portare la divina misericordia, servendo i fratelli più poveri. Quando i discepoli cominciarono a raccontare il destino di Gesù, con il desiderio di preservarne la memoria e di comprenderla meglio, nessuno – eccetto loro stessi – gli attribuiva la minima importanza. Nel vasto Impero Romano Gesù non godeva considerazione, né era ricordato o in qualche modo presente. Ma ciò che appariva senza valore per il mondo aveva acquisito un significato incalcolabile. Nell’avventura storica, cui la comunità dei credenti stava dando inizio, Gesù emergeva con chiarezza crescente come decisivo motore di senso e protagonista di una bellezza capace di rifondare l’umanità.

È questa la buona notizia: Egli è qui come il primo giorno, fedele alla parola: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Nella comunità riunita Tommaso l’ha incontrato e l’ha visto. Quello che è accaduto allora, continua ad avvenire oggi. L’esperienza personale di Kierkegaard, descritta con toni commoventi nel suo “Diario”, può essere condivisa da molti: “Ecco l’importante nella vita: aver visto una volta qualcosa, aver sentito una cosa tanto grande, tanto magnifica, che ogni altra sia un nulla al suo confronto e anche se si dimenticasse tutto il resto, quella non si dimenticherebbe mai più”.

Quella cosa “tanto grande e tanto magnifica” è Gesù Cristo morto e risorto! Chissà che cosa avranno pensato i cittadini di Parigi, inginocchiati sulle strade, mentre la Cattedrale di Notre-Dame andava in fiamme … . Persone in lacrime, in preghiera, con gli occhi rivolti al cielo, in un silenzio irreale, attoniti, come i discepoli sul Monte degli Ulivi, il giorno in cui Gesù salì al Padre. La Francia laica, abituata ad essere grande, avvertiva il brivido della fragilità e della pochezza. Quando la guglia più alta, esile e orgogliosa, rosa dal fuoco, si spezzò e precipitò, trascinando la croce, che aveva sulla cima, fu un urto al cuore, la fine, l’apocalisse. Quelle pietre, che sembravano eterne, resistenti all’usura del tempo, si frantumavano in un istante.

“Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24, 5). La voce dell’angelo, che riscosse i discepoli di Gesù, è la stessa che oggi rincuora la comunità sgomenta, che ha visto bruciare un pezzo millenario di fede cristiana. “Non abbiate paura, io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Il Risorto parla sempre, anche nelle notti buie come quella di Parigi o dello Sri Lanka, sconvolta da grida disperate di dolore, o come quella che sta attraversando la sua Chiesa sotto choc per gli scandali, la freddezza, l’abbandono.

Il rogo può gettare nello sconforto, ma anche dare una forte scossa, accendere una presa di coscienza profondissima nei cattolici e non solo. La comunità cristiana ha la sapienza di ritrovarsi, ricostruirsi, interrogarsi sulla identità del Paese e della sua anima cattolica. Notre-Dame risorgerà, come lo ha dimostrato altre volte, perché Cristo vive, è in mezzo ai suoi. Il racconto dell’incontro di Gesù con Tommaso termina con una beatitudine, una delle due ricordate dal “discepolo che Gesù amava”: la beatitudine della fede – che è questa – e la beatitudine del fare: “Beati voi se, sapendo queste cose, le farete “(Gv 13, 17).

Credere e fare.  Beati noi, se aprendo gli occhi sui segni della presenza di Dio nella nostra vita – così com’è, non come l’avremmo sognata o la vorremmo – crediamo alla potenza della resurrezione di Gesù presente tra noi e ci mettiamo all’opera! Il mondo diventerà un cantiere. L’amore, la pace, la giustizia lo faranno nuovo, come ogni domenica, quando i fedeli da tutta Parigi, dalla Francia, dall’Italia, dai più piccoli villaggi si inginocchiano insieme e si riconoscono fratelli nel Signore risorto.

don Franco Colombini