Sotto il Campanile 28 maggio 2023

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Domenica di Pentecoste
28 Maggio 2023 – Foglio n. 227
“Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra”

Gli incontri con il Signore Risorto aiutarono i discepoli a riflettere sugli eventi emozionanti e traumatici dell’avventura vissuta con Lui e pregavano Dio – insieme con la Madre – perché li custodisse in attesa della loro ora, che doveva venire.

Dopo cinquanta giorni un rombo di tuono, un passaggio di vento, un lampo di fuoco. E i suoi “ragazzi” (così li chiamava il Signore,
anche da Risorto – cfr Gv 21, 5) erano tutti fuori nel mondo, tra la gente, a riaprire le promesse della vita.
Lo Spirito più che invocato, va riconosciuto. Il cuore si acquieta e trova pace quando tocca con mano la sua presenza. È un soffio di libertà, un fuoco che avanza. Non si lascia imbrigliare nelle categorie umane né racchiudere in stretti ragionamenti.
È la vita, che riempì di luce i profeti e accese di fuoco la loro bocca; ferì d’amore Maria, dando inizio all’incarnazione del Figlio di Dio nel suo corpo santo; raggiunse Gesù al Giordano, lo guidò nel deserto e sulle strade della Palestina fino alla morte di croce. E proprio lì, in un supremo impeto d’amore, “consegnò lo Spirito” (Gv 19, 30), incominciando una nuova storia mai vista prima.
Oggi la “Città di Dio” sembra sommersa da un mondo che fa tendenza, dove domina il potere, l’economia, la comunicazione. Ma essa non è scomparsa. Vive in coloro che prendono sul serio il Vangelo, si sforzano di testimoniarlo santamente, compiono scelte disinteressate di altruismo e di servizio. Con l’amore la rendono presente nella storia, intrecciandola con quella di quanti si lasciano guidare dalle logiche di supremazia, di potenza, di sopraffazione.

Ricorre in questi giorni il 150 anniversario della morte del grande scrittore Alessandro Manzoni. Ricordo il profondo coinvolgimento emotivo, quando in Quinta Ginnasio il professore di Lettere ci leggeva in classe i “Promessi Sposi”, nel tentativo di dare una visione compiuta del “guazzabuglio” del cuore umano. Imparai che alla fine tutto si ricompone: il mistero del male e della sofferenza, le volontà di dominio, le ingiustizie, la violenza, la fratellanza nel bene e nella misericordia, la fede nella Provvidenza di Dio.

 

I grandi protagonisti (Renzo, Lucia, Padre Cristoforo, don Abbondio, la monaca di Monza, il Cardinale Federico Borromeo, l’Innominato, don Ferrante, donna Prassede, don Rodrigo, i bravi …) incarnano le molteplici realtà della vita nel coraggio o nella viltà, nella fedeltà o nell’ipocrisia, nella coerenza o nell’errore. Accanto a loro brulica una galleria di personaggi minori con un ruolo tutt’altro che marginale. Alcuni, chiamati per nome, come Bortolo, Tonio, Menico, Gervasio, evocano il volto dell’amicizia, della solidarietà, dell’aiuto sincero, senza secondi fini, nel momento del pericolo e del bisogno. Altri anonimi, ma non meno significativi, mettono in luce un mondo di gente semplice, a misura d’uomo, che si dà una mano attraverso atti concreti di accoglienza e di condivisione, si mette a disposizione degli altri con umiltà, portando fiducia, conforto, speranza:

come la moglie del sarto, la “buona donna” piena di premure e attenzioni verso Lucia, il barcaiolo e il barrocciaio, che si prestano gratuitamente per la traversata e il viaggio in calesse di Renzo, Agnese e Lucia. Lasciano un segno anche la madre di Cecilia, fra Galdino, il vecchio servitore di don Rodrigo, l’oste della luna piena e del paese. Pochi esempi per disegnare la fatica, il travaglio del vivere, la fedeltà ai principi, il coraggio di spendersi per una causa giusta, l’essere sempre se stessi anche nelle circostanze più drammatiche o, viceversa, la paura, il tradimento, la scaltrezza nel barcamenarsi nelle situazioni di difficoltà e di rischio. Volti del vivere quotidiano, che contribuiscono a creare quella variopinta tavolozza di colori umani con una meraviglia sempre nuova. In questa trama vedo lo Spirito operare nella storia, aprire spiragli di luce, seminare germi di vita, cambiare cose che sembravano immutabili, condurre gli eventi verso la felicità piena, duratura, eterna, fino ad appagare quella sete di assoluto, che nessuno può conquistare se non gli viene data in dono.

Oggi è di nuovo Pentecoste. Il giorno che ricorda la nascita della prima comunità cristiana, dove Dio si fece presente, ispirò la fede, raccontò il Vangelo in ogni lingua allora conosciuta. La Chiesa sa da tempo che la parrocchia fatica a contenere i battezzati, a seguire i credenti, i lontani, gli estranei provenienti da lontano. Sui mari della storia soffiano burrascosi i venti delle guerre, delle malattie, delle ingiustizie, del degrado ambientale, del tramonto della fede. La piccola comunità eucaristica è chiamata ad essere un segno luminoso del regno, che Dio va costruendo senza eccezione di persona.

Non paura o timidezza, ma slancio, coraggio e tutti fuori, spinti dallo Spirito, per la gioia di vederla crescere.
Ho ammirato i volti dei tanti ragazzi, che hanno spalato fango nelle strade della Romagna in cambio di niente. Avevano facce pulite. Purtroppo c’è un altro pantano, più infido e pericoloso, da scrollarci di dosso. Sono le solitudini estreme, i deserti dell’animo, i crimini del potere e del denaro, i vizi che deturpano la dignità umana. L’esempio di questi giovani, magari scuri di pelle o profughi di guerre lontane, ma ebbri di passione, pieni di entusiasmo, carichi di gioia, generosi, tutti d’un pezzo, stimola l’intera collettività a farsi carico dell’umanità e ci aiutano a riemergere dal torpore.
Sono un dono dello Spirito. Una voce che chiama fuori. Ci dicono che è giunta l’ora di curare il mondo e di guarirlo.

don Franco Colombini