Sotto il Campanile 28 marzo 2022

Pubblicato giorno 26 marzo 2022 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

 

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Terza domenica di Quaresima
27 Marzo 2022 – Foglio n. 178
“Ero cieco e ora ci vedo” (Gv 9, 25)

Cent’anni fa nacque Jack Kérouac nel Massa- chusetts. La sua vita fu una avventura roman- zesca. Dopo aver interrotto gli studi universitari, vagabondò per gli States fino ad approdare
a New York per unirsi con i protagonisti della
“beat generation”, il movimento di giovani ribelli
decisi a vivere senza regole, in contrasto con i
modelli borghesi, votati a esistenze eccentriche
e controcorrente. Nel 1957 pubblicò il romanzo “Sulla strada” per raccontare l’esperienza di
una banda di quattro amici diretti a New Orleans
e a San Francisco su una Hudson. Un viaggio
senza scopo, fatto solo per andare al massimo, spingersi al limite, correre
“contromano”, cogliere ogni attimo come fosse l’ultimo, vivere esperienze forti, anticonvenzionali, tra sesso, droga, arte, musica, letteratura, in polemica
con la mentalità corrente dell’epoca, in fuga da se stessi, dentro un disagio e
una esuberanza crescenti. Il libro diventò il “Manifesto” dei giovani “arrabbiati”
degli anni Sessanta e dei decenni successivi. Kerouac passò gli ultimi anni tra
eccessi e desolazione interiore. Morì in Florida nel 1969. Noi ragazzi del dopo
guerra ci siamo ritrovati in quella inquietudine interiore, senza poterla spiegare e riempire di significato, irrequieti, incapaci di scorgere gli indizi di un amo- re più grande. Anch’io stavo ai bordi della strada come il cieco dalla nascita,
in attesa di Chi potesse aprirmi gli occhi. Fu una stagione meravigliosa. Dio
mi prese abbagliandomi con la luce della sua bellezza e appassionandomi
alla totalità dell’umano. Il disagio cedette il passo all’impegno per un mondo
migliore. Il vuoto si riempì di volti e di voci, che chiedevano giustizia, verità,
libertà. Questa esperienza giovanile mi segnò in profondità, mi riempì di sogni
carichi di forza rivoluzionaria, dette un orientamento definitivo alla mia vita,
del quale non mi sono mai pentito.
Due anni di pandemia e il dramma della guerra in Ucraina hanno riportato
indietro la storia all’ora nona del Venerdì Santo, quando “dense tenebre coprirono la faccia della terra, mentre crocifiggevano Gesù”. Strazio, dolore,
domande senza risposta, come sempre quando l’umanità abbandona i valori
più belli e lascia il posto all’orrore delle armi. Mi vengono alla mente i ricordi
di papà e le testimonianze di chi visse gli anni terribili della Seconda Guerra
Mondiale sui vari fronti. Raccontavano la partenza dei ragazzi, gli adii davanti
alla tradotta con i volti segnati dalla paura e dalla tristezza, che solo la propaganda di regime pretendeva di vedere felici, la solitudine della lontananza, le
preghiere e le lacrime versate di nascoste, il fragore delle granate, le imboscate, il ronzio degli aerei con il carico di morte, l’angoscia di non rivedere più i
propri cari, l’attesa di notizie che non arrivavano mai, i poveri oggetti recuperati
da un commilitone e consegnati ai genitori, perché potessero piangere toccando
qualcosa, … . Il nonno Enrico ogni sera pregava dicendo: “Signore, lasciami ve-dere mio figlio un’ultima volta e poi non mi importa di morire”. E fu proprio così.
La sofferenza delle famiglie è la cupa e insensata verità della guerra. Una realtà umana ordinaria, ferita, lacerata, impastata di carne, emozioni, affetti, sogni,
vita. Sono le mamme in fuga con i bambini sotto la pioggia dei proiettili, i giovani
stretti alla propria ragazza a non volerla più lasciare, i papà abbracciati ai figli e
alle mogli prima di tornare a combattere, il pianto disperato di una donna sotto
le macerie con un bambino in grembo, i soldati russi smarriti di fronte alla solidarietà inattesa di chi offre cibo, bevanda, un telefonino per chiamare a casa … .
Gli sguardi disperati della gente sono la più radicale negazione della logica che
spinge a muovere i carri armati, lanciare missili, bombardare le città, uccidere
vite umane. I piani strategici, gli scenari internazionali, i movimenti delle unità militari, le grandi questioni belliche, i calcoli politici, il nuovo ordine mondiale sono
nulla. Scompaiono di fronte alla follia dei dittatori, che pretendono di ridisegnare
il mondo pianificando deportazioni, spezzando le famiglie, disintegrando le case,
azzerando gli affetti, abbattendo le scuole, distruggendo gli ospedali, mietendo
bambini, abbandonando gli anziani, spargendo orrore, seminando morte. Un baratro oscuro, insondabile, un male assoluto, che lascia sgomenti, senza parole,
dinanzi al quale non ci stanchiamo di chiedere perché. Sono tante le domande
di chi cerca la luce. Mi è rimasto impresso un frammento di poesia – di cui non
ricordo l’autore –, intitolata “Soldato”: “Se li vedrò, sparerò. Loro faranno altrettanto. Non sapremo perché. Non ci saremo mai visti in viso”. Ignorare perché
l’essere umano sceglie di vedere nell’altro un nemico da eliminare, anziché rispecchiarsi nel suo viso, è un dilemma, che solo il Vangelo può risolvere.
Gesù leggeva dentro, scrutava in profondità, andava diritto al cuore. Fece così
con il cieco dalla nascita. Non rimase indifferente al suo dolore. Lo guardò con
amore e lo guarì. Il Manzoni dedica all’Innominato pagine mirabili. Ci fa penetra- re nel suo animo inquieto, roso dal male, disperato per una vita spesa malamente, eppure desideroso di incontrare una nuova speranza. Gli arrivò inaspettata
dal Card. Federico Borromeo in visita ai villaggi della valle. La storia è piena di
esempi, dove dalla notte si giunge alle prime luci dell’alba, fino all’abbraccio che
riapre alla vita. Teresa di Lisieux scriveva: “Lo sguardo del mio Dio, il suo splendido sorriso. Ecco il mio Cielo”. E Jean Vanier, l’apostolo dei diversamente abili,
annotava: “Amare qualcuno è rivelargli la sua bellezza”. Come siamo lontani
dall’odio che acceca!
Eliminare il buio dalla storia è impossibile. Fare qualcosa nell’oscurità è proprio
di coloro che vedono lontano agli orizzonti di Dio. Gaudì compose una magnifica
opera d’arte nel Parc Gueli di Barcellona, mettendo insieme le maioliche rotte.
Una tecnica che ha tanto da insegnare. Nella debolezza, nella fragilità, nelle
ferite aperte della pandemia e delle guerre sono sempre possibili azioni buone,
che fanno nascere qualcosa di nuovo. Spesso il male segna la fine di un’era e
l’inizio di un’altra. Gesù ha cambiato il corso dell’umanità abbracciando la croce.
Ora rivolge ancora a tutti la stessa domanda del cieco nato: “Tu credi nel Figlio
dell’uomo? Egli rispose: E chi è Signore, perché io creda in lui? Gli disse Gesù:
“Lo hai visto: è colui che parla con te! Ed egli disse: Credo, Signore! E si prostrò
dinanzi a Lui” (Gv 9, 35-38). Da qui prende avvio la nuova civiltà dell’amore.
don Franco Colombini