Sotto il Campanile 28 Novembre 2021

Pubblicato giorno 26 novembre 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

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Terza Domenica di Avvento
28 Novembre 2021 – Foglio n. 161
Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? (Lc 7, 20)

“Che cosa siete andati a vedere nel deserto? … Fra i nati di donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui” (Lc 7, 24-28). Ho pensato a lungo in questi giorni alla testimonianza di Giovanni il Battista. Arrivò alla fede dopo un lungo travaglio interiore. Faticò a scorgere in Gesù il Messia, predicato dagli antichi profeti. Conosceva bene il Figlio di Maria e del falegname Giuseppe. Erano parenti. Lo aveva sentito predicare sulle rive del Giordano. Gli era giunta l’eco delle opere strepitose, che andava compiendo, ma non tutto lo convinceva. Si sentiva confuso, frastornato da mille domande, invaso da un dubbio, che lo consumava: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Lc 7, 20). Gesù tolse ogni incertezza con i fatti: “Guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi” (Lc 7, 21).

La risposta di Gesù mi fa venire alla mente le figure di tanti preti, che ho conosciuto e ammirato. Uomini semplici, umili, genuini, qualche volta tormentati, incompresi, dimenticati nella solitudine, ma indomabili nel combattere la battaglia della fede. Si sono addossati i fardelli delle loro comunità, visitando le famiglie una ad una, prendendosi cura delle persone con la tenerezza di un padre e di una madre, stando dalla parte dei più deboli, erigendosi come baluardo davanti al potere del male, del dolore, della sofferenza. Hanno portato in mezzo alla gente un cristianesimo puro, non condizionato dalle strutture e dai programmi. Mi hanno insegnato che il peccato contro la speranza è il più mortale di tutti. E io ho amato la Chiesa, quando l’ho vista “sporca” di umanità, che si presentava al mondo non come il miele, ma il sale della terra.

Dio è inconoscibile, inimmaginabile, ineffabile. Concepirlo, rappresentarlo in modo adeguato sono imprese impossibili. Il solo provare a pensarlo spaventa, fa tremare il cuore: come un’eclisse totale di sole, un’eruzione, una tempesta, il tuono di una cascata, il silenzio del mare in una notte senza stelle. Lo posso negare, rifiutare, bestemmiare, dileggiare. Questo fa parte della mia nullità, ma la sua gloria non viene sfiorata. Nella vastità dell’universo sono un puntino senza significato. Eppure il suo nome mi è familiare, mi conforta, mi fascia, mi riscalda come un affetto materno. Scandagliando gli abissi dell’animo trovo imperante il desiderio di Dio. Privare l’uomo di apertura alla trascendenza è come tappare la bocca a un bambino che ha fame. L’istinto mi fa sentire Dio prossimo, intimo. La ragione mi invita a considerare l’incalcolabile distanza che mi separa da lui. Gesù l’ha colmata. “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia” (Lc 7, 22-23). I segni della sua presenza sono caldi, intimi, sicuri come un ventre materno. Francesco d’Assisi, Michelangelo, Johann Sebastian Bach, … tanti hanno balbettato il suo nome e hanno forgiato capolavori umani di bellezza inaudita.

Gesù è l’Emanuele, il Dio presente nella storia a guidare il cammino e la sorte dei popoli. Ha mandato i suoi discepoli nel mondo. Li sostiene con la forza e la luce dello Spirito, perché sulla terra piova la giustizia e germogli la salvezza. Alle porte dell’Europa sono stati ammassati migliaia di profughi e vengono tenuti in ostaggio per un bieco calcolo politico. Sono usati come “arma non convenzionali” di ricatto e ritorsione. Vivono al freddo e al gelo, senza acqua né cibo, con abiti e scarpe inadatte al ghiaccio e alle lunghe marce per attraversare boschi, paludi, corsi d’acqua. Sono Siriani, Afghani, Curdo-Iracheni, provenienti dalle regioni dove il conflitto non è mai cessato, piccoli che dormono all’addiaccio, donne incinte stremate, uomini disperati. Il Parlamento di Varsavia ha approvato un progetto per costruire un muro lungo 80 Km al costo di 406 milioni di dollari. Ha schierato migliaia di soldati, guardie, poliziotti, funzionari dell’antiterrorismo. Un esercito in stato di guerra. Nessun civile, giornalista, operatore Ong può avvicinarsi. Nei giorni scorsi ci sono stati scontri, respinti con idranti e gas lacrimogeni a temperature sotto zero. Una vergogna umanitaria. Anche alle frontiere tra Bosnia e Croazia sono stati messi “mastini” con il compito di picchiare, inseguire, bastonare, respingere. Le schiene marchiate dai colpi e il filo spinato hanno sostituito le stelle sopra le terre d’Europa. Sono d’accordo con Idro Montamelli quando disse: “Oggi manca la capacità di indignazione”, la disapprovazione di tutto ciò che è male, per sollevarsi, alzare la voce e gridare, rivestirsi di luce e di giustizia, essere profeti.

Meno male che sono apparse le “lanterne verdi” alle finestre delle case polacche, per indicare a chi riesce ad attraversare la frontiera che può trovare un pasto caldo, coperte, braccia aperte, vestiti, amici. Sono i nuovi “ribelli per amore”, sconosciuti, anonimi. Sfidano la legge aprendosi agli altri, restando umani, ascoltando il grido dei poveri, seguendo la pietà, che i reticolati taglienti come flagelli non possono fermare. Tracciano una via alla solidarietà, diversa da quella dei grandi della terra. I campi di concentramento di Lesbo, il finanziamento dei lager e dei negrieri della Libia, l’intrico di recinti e di campi minati, i miliziani picchiatori, il Mediterraneo pieno di morti, i fucili spianati di Ceuta e Melilla, le “giungle” di Calais, gli eserciti schierati con i poveri in mezzo non possono essere il futuro. “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?’”. Vieni, Signore Gesù, perché l’inferno è non amare più!

don Franco Colombini