Sotto il campanile 29 aprile

Pubblicato giorno 27 aprile 2018 - NOTIZIARIO

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“Il Signore Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te” (Gv, 17, 1b).

Con la croce è giunto per Gesù il momento di manifestare la verità, gridare con la vita che Dio è Amore! Gesù prega per andare fino in fondo e chiede al Padre che anche i suoi discepoli facciano lo stesso. Da allora è esplosa una sorgente di luce inesauribile, che attraversa tutto l’arco dei tempi.

Uomini e donne non si stancano di rivelare la gloria di Dio con l’amore. Dal primo martire Stefano in poi sono tanti i testimoni che hanno incarnato la bellezza di sporcarsi le mani per gli altri gratuitamente, con la gioia di collocare il Regno di Dio nel cuore del mondo .
Gianna Beretta Molla brilla nel firmamento della santità non solo per aver anteposto la vita della bambina che portava nel grembo, ma soprattutto perché decise la sua strada strutturata su tre parole: “Voglio amare Gesù”. Scrisse questo proposito dopo un corso di esercizi spirituali a Genova nel 1938. Aveva 16 anni e vi rimase fedele. E quando Gesù le chiese di rivelare la sua gloria, gli rispose amando fino alla fine. “Se dovete scegliere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete – e lo esigo – il bimbo. Salvate lui”. Il fratello Ferdinando aveva accettato da Gianna l’incarico di avvisarla con una frase stabilita, quando fosse giunto il momento della morte. Ma non ebbe il coraggio di eseguirlo. Incaricò la sorella Madre Virginia, che, al momento opportuno, le disse: “Coraggio, Gianna, papà e mamma sono in Cielo che ti aspettano, sei contenta di andarvi? Nel movimento del suo ciglio – ricorda Madre Virginia – si poté leggere la sua completa e amorevole adesione alla volontà divina, anche se velata dalla pena di dover lasciare i suoi amati figli ancor tanto piccoli. Gianna, come il suo Gesù, si consegnò al Padre”. La santità di Gianna è possibile per ogni credente. Basta dire sì ogni giorno alla volontà di Dio, che è amore.
Domenica 15 aprile nella Pieve di S. Valentino a Castellarano (Reggio Emilia) c’è stato l’abbraccio di pace tra i parenti del seminarista martire Beato Rolando Rivi – presenti la sorella Rosanna e i cugini Alfonso e Sergio – e la signora Meris Corghi, figlia di uno dei due partigiani che nell’aprile 1945 strapparono la vita in odiun fidei a quel ragazzo che si ostinava a indossare la veste talare e a dire: “Io sono di Gesù”, sognando di diventare missionario. Un commovente gesto di riconciliazione.

“Siamo tutti fratelli e nella guerra tutti perdiamo: avete perso Rolando e s’è perduto mio padre, ma Cristo ha salvato tutti gli uomini; prima di spirare sulla croce usò il suo ultimo fiato solo per perdonare i suoi carnefici”, ha detto Meris al termine dell’Eucaristia, leggendo un testo scritto dopo un lungo percorso di conversione, iniziato quando aveva appreso da una zia la verità dei fatti riguardanti suo padre, reo confesso, e quel seminarista quattordicenne freddato a colpi di pistola in un bosco. “Arrendiamoci a Dio nel perdono, diventiamo fiamme di luce, esempi della Grazia”, ha detto ancora la donna, che ha proposto la stretta di mano ai parenti di Rivi con questo auspicio: “Che il sorriso di Rolando possa risplendere su tutti voi e, accanto a lui, anche quello di mio padre. Ciò che l’odio del separatore ha diviso, possa riunirsi nell’amore del Sacro Cuore di Gesù. E nel nome del Padre imploro, a nome di tutte le vittime di tutte le guerre: pace, pace, pace!”. Il cugino Alfonso, rispondendo, ha ricordato la letizia della beatificazione, avvenuta nel 2013, e ha confidato che nei cuori dei familiari c’è sempre stata la segreta speranza, “che anche la violenza usata contro Rolando fosse in qualche modo redenta, perché la vittoria del bene sul male potesse giungere alla sua pienezza.

“Per questo oggi – ha concluso – abbiamo accolto con gioia la presenza di Meris Corghi tra di noi, come fosse una sorella e alla sua domanda di perdono rispondiamo di cuore con il dono del perdono”. Il sacrificio di un seminarista adolescente ha aperto un varco alla misericordia. Dal buio della violenza e dell’indottrinamento ideologico è nato un amore che non esclude nessuno. In lui è apparsa la Gloria di Dio.
Venerdì 20 aprile Papa Francesco si è recato a Molfetta a rendere omaggio a un Vescovo di periferia don Tonino Bello a 25 anni dalla scomparsa. Fu uomo di Dio, discepolo innamorato di Gesù da imitarlo nel gesto di abbassamento con il grembiule del servo, che lava i piedi all’umanità più povera e derelitta. L’amicizia verso tutti, la casa sempre aperta, le membra del suo corpo, i piedi perennemente in marcia anche negli ultimi giorni della malattia, tutto è stato in lui luogo di abbraccio, di ricerca dell’altro, di fame di pace, di volontà di giustizia, di sete di Dio, dove si è rivelata la sua gloria. La tomba di don Tonino non è monumentale, non sale verso l’alto, ha detto il Papa, ma è distesa sulla terra. Il suo è un “corpo seminato” per sbocciare come un fiore di fiducia, per aprire una finestra sulle rive del Mediterraneo. Un seme destinato a crescere per trasformare ogni “ferita in feritoia”.

don Franco Colombini