Sotto il Campanile 29 Gennaio 2023

Pubblicato giorno 28 gennaio 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

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IV Domenica dopo l’Epifania
Festa della Sacra Famiglia di Gesù, Maria, Giuseppe
29 Gennaio 2023 – Foglio n. 210
“I miei occhi hanno visto la tua salvezza” (Lc 2, 30)

Gesù maturò la sua vocazione di Figlio di Dio in una famiglia modesta, umile, semplice, nel silenzio del cuore, lontano dai riflettori del mondo.
Giuseppe e Maria lavoravano, frequentavano la sinagoga, salivano al tempio, pregavano, osservavano le leggi e le prescrizioni. Insegnarono a
Gesù la via della fede, l’abbandono totale nella braccia di Dio, la disponibilità del cuore al suo volere. Gesù cresceva con i tanti amici di Nazareth di Galilea “in età, sapienza e grazia”. Nella Scrittura e nei Salmi, recitati in casa, scopriva “le cose del Padre”.

Ne fu attratto ed affascinato, fino decidersi di spendere la vita consegnandola all’amore.
Ancora oggi è così. In un campo fertile e ben coltivato nascono frutti abbondanti e messi copiose.

Nel Giorno della Memoria vengo a scoprire con stu-pore figure minuscole e straordinarie come quelle di Jòzef e Wictoria Ulma, giovani sposi di Markowa, cittadina rurale polacca a metà strada tra Cracovia e Leopoli, uno dei nodi dolenti della storia dei nostri giorni, la via dei profughi ucraini verso Occidente.Per dare salva la vita ad altre vittime di guerra i due coniugi – già genitori di sei figli tra otto anni e 18 mesi, più un settimo in arrivo e ormai vicino alla nascita – decisero di aprire la porta ad otto concittadini ebrei, che riuscirono così a scampare alla deportazione di massa della folta comunità israelitica del paese. Per Jòzef , vivaista e apicoltore, e Wiktoria non si trattò solo di raddoppiare la famiglia.

Sapevano di essere in pericolo. Le spietate regole dell’occupazione nazista erano chiare: chi fosse stato scoperto a dare rifugio agli Ebrei doveva pagare con la vita. Quando il 24 marzo 1944 i militari tedeschi irruppero nella loro fattoria fuori mano, per la soffiata di uno sciagurato, non ci fu pietà né per gli otto ebrei, uccisi con un proiettile alla nuca, né per i due sposi falciati a colpi di mitra sotto gli occhi dei figli. La disperazione dei piccoli per l’atroce delitto, non impietosì i carnefici, li esasperò ancora di più e con una raffica soffocarono il loro pianto, che da allora risuona dentro il grido senza fine delle vittime innocenti di ogni tempo.

Mi viene alla mente la testimonianza di Primo Levi, per il quale la Shoa fu una prova della non esistenza di Dio, anche se poi mitigò questo disperato giudizio dicendo: “Non trovo una soluzione al dilemma, la cerco, ma non la trovo”. Coloro che inventarono i campi di sterminio e li misero in piedi fecero di tutto per indurre i prigionieri a pensare che Dio non c’è. Tentarono di cancellarlo dalla mente degli uomini sui quali pretendevano l’onnipotenza assoluta. Erano convinti che la creazione fosse sbagliata. Aveva partorito razze umane inferiori, che non avevano il diritto di esistere. Bisognava farle sparire, eliminarle ad ogni costo e con tutti i mezzi, utilizzarle per sperimentazioni azzardate come fossero bestie, cavie.
Il male perpetrato non può andare in prescrizione. Mai. Viene sopraffatto dall’amore infinito e smisurato dei Martiri, che lo hanno sfidato convinti dell’immortalità del bene. Scrisse Anna Frank:

“È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze, perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo.
Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure; partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità”.

La speranza è che l’umanità lo capisca.

Gli Ulma erano in nove. Tutti e nove saliranno presto l’onore degli altari. In cielo si va insieme, non da scalatori solitari. Mamma e papà misero a repentaglio la vita per soccorrerne altre. Avevano abbracciato l’Amore. La generosità priva di calcoli, la fiducia in Dio, la fraternità, la purezza del Vangelo furono la quotidianità, nella quale crescevano i loro figli Stanislawa, Barbara, Wladyslaw, Franciszek, Antoni, Maria. Una famiglia santa come quella di Gesù, una storia eloquente per il nostro tempo di guerra.

Di recente un amico di lunga data mi intrattenne sulla teoria della relatività. Mi spiegò che il tempo non è quella cosa lineare che abbiamo sempre creduto. Ogni immagine emana luce. Come ci giunge la luce di stelle, forse già morte, così i giorni sono luce che parte verso l’infinito. In un luogo indicibile si riflettono ancora le nostre ore e quelle di mille e mille anni prima. Sentii addosso un rimescolio di agitazione mista a speranza, un desiderio struggente di poter affacciarmi a quello spazio, in cui ciò che è stato, è ancora. Che gioia poter rivedere i nonni, i
genitori, gli amici dell’infanzia, il paese in cui sono nato, i compagni di seminario, i superiori, i Vescovi, i Papi, le comunità a cui sono stato inviato, i miei ragazzi dell’Oratorio, la famiglia Ulma, Anna Frank, … . Questo luogo dell’infinito non può che essere Dio. In Lui nulla va perso dei nostri istanti, dei primi passi, dei giochi, degli amori, del bene fatto, del male perdonato.

“Niente di ciò che amiamo andrà perduto” (Benedetto XVI). Tutto rinascerà in una nuova umanità, una grande famiglia riconciliata nella pace. Esploderà la gioia e avrà inizio l’eternità.

don Franco Colombini