Sotto il Campanile 29 marzo 2020

Pubblicato giorno 28 marzo 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

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Domenica V di Quaresima
29 Marzo 2020 – Foglio n. 106
Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11,25)

Marzo è il mese della rinascita. Conserva un fascino delicato e incisivo. La primavera si fa sentire con prepotente vigore. La natura si è destata. Sono tornate le rondini. Le sento garrire in volo da una parte all’altra del cielo. Alcune piante sono già fiorite. I rami degli alberi sono gonfi di gemme impazienti di schiudersi. Sono spuntati ovunque nuovi germogli. L’erba verde si è tinta di chiazze azzurre, bianche, gialle, viola. Sono i colori dei fiori che hanno schiuso le corolle alla luce del sole. Le giornate si sono allungate. L’aria si è fatta tiepida. La creazione mostra il suo volto più incoraggiante e luminoso. Manifesta la ferma volontà di superare il freddo, il buio, la rigidità dell’inverno. E’ meraviglioso fermarsi a contemplare il miracolo della vita! Esplode ovunque, anche nell’anima. In questi giorni ero solito passeggiare in mezzo ai campi, gustando l’opera di Dio. Purtroppo quest’anno non è possibile. Sono chiuso in casa, come tutti. Eppure la primavera mi appare ugualmente bella. La vita scorre, non si arresta, ci chiede di partecipare con entusiasmo, passione, coraggio. Sta sepolta per mesi nella terra più dura, ma al primo caldo irrompe in tutta la sua sfolgorante bellezza.
La Quaresima è la primavera dello spirito. Fa bene al cuore. E’ il tempo di scrollarci di dosso tutto ciò che soffoca la gioia, paralizza, impedisce di vivere felici e di amare. E’ il momento di ritrovare la fiducia, osare, sentirci chiamati a fare nuove tutte le cose. Ricordo un vecchio racconto. Forse l’avrò ascoltato da bambino dalle labbra della nonna o della mamma nelle lunghe sere invernali.

C’era una volta una giovane principessa. Viveva nel palazzo reale attorniata da confort di tutti i generi. Non le mancava niente, ma non era contenta. Pativa di una misteriosa malattia, che la faceva deperire. Il re le aveva provate tutte, non sapeva più cosa fare, a quale medico ricorrere, così emise un bando: chi fosse riuscito a guarire la principessa l’avrebbe avuta in moglie. Si presentarono in tanti a offrire vari rimedi, finché, un giorno, un giovane arrivò al palazzo con una bambina ammalata e disse di portarla alla principessa, perché se ne prendesse cura. Il re, ormai rassegnato al peggio, accettò quella strana proposta. Fu così che, pian piano, mentre badava con amore alla piccola, che iniziava a star meglio, anche la principessa ritrovò la forza e la gioia di vivere. Guarì, sposò il giovane e, come dice la favola, “vissero felici e contenti per molti anni”.
Prendersi cura dell’altro, è una medicina efficace. Non fallisce mai.

La Quaresima di quarantena, che stiamo vivendo, offre infinite occasioni di bene. Ci dà la possibilità di arricchire la mente e il cuore; capire, ascoltare, conoscere, amare le persone vicine come mai abbiamo fatto; chiamare quelle lontane trascurate da tempo; mandare messaggi buoni per consolare e incoraggiare; stare vicino a coloro che sono stati colpiti dalla malattia; inventare cose che portano gioia e allegria nella casa; rivedere la gestione del tempo, le priorità, i valori; ritrovare la sobrietà e l’essenzialità; interrogarci sulle scelte fondamentali, i percorsi, le decisioni, le responsabilità; pregare ascoltando la voce interiore dello Spirito; aprirci al mistero di Dio che ci guarisce, ci regala la gioia della resurrezione; comprendere la differenza tra la casa sulla roccia, di cui parla Gesù nel Vangelo, fondata sulla sua Parola, e le tante costruzioni di sabbia senza consistenza. In questi giorni mi sembra di essere ritornato ai lontani tempi della mia giovinezza, all’intimità con Dio, quando gustavo la dolcezza della sua presenza: “Ti condurrò nel deserto e parlerò al tuo cuore” (Os 2, 16).
Qualche tempo fa un noto antropologo, di cui non ricordo il nome, parlò di “catastrofe vitale”, uno sconvolgimento totale, repentino, imponderabile, dal quale la saggezza umana sa trarre le risorse per affrontare il momento difficile e aprirsi a un futuro migliore. E’ quello che sta avvenendo. Il virus ha spazzato via con la violenza di un uragano abitudini e routine, che davamo per scontate e immodificabili. Il motto individualistico “Mors tua vita mea”, coniato per raggiungere il successo, si è rivelato falso e micidiale. All’opposto, “Vita tua vita mea” è ciò che ci tiene insieme oggi e ci fa ben sperare. L’impegno, la solidarietà, il sacrificio di tanti uomini e donne, instancabili al capezzale degli ammalati e nella ricerca, ci permettono di guardare lontano e vedere la luce che pone fine alla notte.

Gesù nella sua missione ha affrontato situazioni difficili, impossibili. Non si è mai tirato indietro, nemmeno quando è venuto a mancare Lazzaro, un amico a lui caro, al quale voleva un mondo di bene. Andò a trovare la sua famiglia, disperata, affranta. Si recò alla tomba, invocando dal Padre la vita che vince la morte. In quella supplica ci ha mostrato il volto buono di Dio, che salva, si commuove, non si arrende davanti al male supremo e definitivo. Ha mandato il Figlio, il Verbo fatto carne, per restituire ogni uomo alla vita con il dono della sua stessa vita.

Il dono di Dio è eterno. Ne abbiamo bisogno. L’hanno supplicato col pianto le sorelle di Lazzaro. Lo ha chiesto Papa Francesco camminando con passo incerto per le vie deserte di Roma fino alla chiesa di San Marcello per inginocchiarsi davanti al Crocifisso. Ne ha sentito la necessità il vescovo di Milano Mario Delpini, che è salito in preghiera sul tetto del Duomo: eretto, asciutto, lo sguardo verso la Madonnina. Lo invoca il nostro cuore. Qualcuno ha detto: “Credere in Dio potrebbe essere una bugia, non credere potrebbe essere una bugia ancora più grande”.
Gesù non delude. Ascolta. Ci viene vicino, oggi come allora, per soccorrerci, elevarci, purificarci. Ci prende par mano, ci invita ad alzarci, a riscuoterci dalle paure e dagli intorpidimenti, ci chiama per nome: “Lazzaro vieni fuori!”. C’è una morte che regala la vita. C’è un amore che fa risorgere. Ci sono piaghe che guariscono. C’è una luce che sfonda le tenebre. C’è un’amicizia fedele per sempre: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11,25-26).

don Franco Colombini