Sotto il Campanile 3 Novembre 2019

Pubblicato giorno 1 novembre 2019 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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II dopo la Dedicazione 03 Novembre 2019 –

Foglio n. 85 Venite alla festa!

“Il Regno dei Cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio” (Mt, 22, 1).

Ho meditato con attenzione il racconto di Matteo, l’ho letto più volte. Mi sono chiesto: perché Gesù ha narrato questa parabola? Che cosa c’era nel suo cuore quando vedeva dinnanzi a sé le folle che lo ascoltavano? Gesù è convinto che il Vangelo con la gioia, la fede, la giustizia, la santità, che ne conseguono, è un’offerta alla libertà dell’uomo da non lasciar perdere a nessun costo, perché è il suo vero bene. La proposta è seria, decisiva del proprio destino e del futuro della storia. Dio invita tutti alla festa della vita. È un’occasione unica, da non perdere, perché viene dall’Amore, che non arretra e non si arrende: “Dite agli invitati: ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!” (Mt 22, 4). E se gli invitati indugiano o, peggio ancora, rifiutano: “Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze” (Mt 22, 9). Dio è troppo importante per l’uomo. È come l’aria che respira e il pane che mangia. A Dio che chiama non si può rispondere di no, ne va di mezzo l’intera esistenza. Bisogna seguirlo alle sue condizioni, fidandosi, come in montagna si va dietro la guida che porta in cima. Così si entra nella pienezza del Regno. È sarà una meraviglia, una scoperta, una pienezza insaziabile, una gioia grande, una pace senza fine, perché “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato” (Is 25, 7-8). E vivere sarà bello, un camminare nella luce, un andare verso l’Amore, dove abitare, come una festa di nozze. Anche oggi questo invito risuona per noi, perché “siamo circondati da una moltitudine di testimoni” (Eb 12, 1), i quali ci spronano a non fermarci lungo la strada e a non perderci nelle banalità, che illudono. Basta stare attenti a un piccolo particolare e la scena della vita si illumina di grazia.

“Tra di loro può esserci la nostra stessa madre, una nonna o altre persone vicine. Forse la loro vita non è sempre stata perfetta, però anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore” (Gaudete et exultate n. 3). L’invito alla festa è un dono destinato a tutti, non a pochi privilegiati. Il popolo della vita e delle Beatitudini impedisce alla storia del genere umano di sprofondare nell’incredulità, nella tristezza del fallimento, nell’ingiustizia, nelle guerre fratricide. È costituito per lo più da persone invisibili, ma decisive per la storia del mondo. L’umile apertura del cuore al rivoluzionario Vangelo della vita, delle Beatitudini e della Festa, la generosa semplicità della dedizione per i più abbandonati, la preghiera e l’adorazione di Dio in spirito e verità sono i veri passaggi di salvezza fra le acque turbolente della vita.

Un esempio di semplicità, umiltà e potenza dell’amore di Gesù, che opera meraviglie, l’ho avuto da Padre Pedro Opeka. Sono venuto a sapere della sua opera in occasione della visita del Santo Padre Francesco alla comunità Akamasoa, da lui fondata in Madagascar. È un missionario lazzarista, ex calciatore di ottimo livello. Sarebbe potuto diventare un professionista del pallone, ma decise di abbandonare lo sport agonistico per stare a tempo pieno con i poveri e i diseredati. Lasciato il calciò, partì per il Madagascar, isola dalla natura meravigliosa tra le più povere del pianeta, portando con sé la Teologia della liberazione di dom Elder Camara – il Vescovo del Nord-Est brasiliano amico degli ultimi – e un pallone. Si fermò in prossimità della più grande discarica di Antananarivo, la capitale, un luogo dal quale anche gli animali a causa del fetore insopportabile, si tenevano lontano. Pochi animali in quella specie di inferno metropolitano, ma molti esseri umani, soprattutto bambini, che Padre Pedro vedeva ogni giorno rovistare nell’immondizia, perché nelle discariche c’è sempre modo di trovare qualcosa da mangiare. Padre Pedro decise di tirare fuori, proprio lì, il suo pallone. Costruì campi da calcio e usò lo sport per evangelizzare. Indossando spesso la maglietta albiceleste della sua Argentina, costruì giorno dopo giorno la storia di Akamasoa da centrocampista offensivo, preferendo le azioni alle parole. Sono passati trent’anni da quelle prime partite di calcio sull’immondizia e ora Akamasoa è una enorme comunità, sparsa in 22 villaggi, dove vivono migliaia di persone, i poveri ricevono assistenza, gli ammalati sono curati, i bambini vanno regolarmente a scuola. Dio ha chiamato alla festa della vita, alla felicità, anche quel pezzo di mondo dimenticato e lo ha strappato alla disperazione. Nel 1994, erano da poco terminati Mondiali di calcio negli Usa e i bambini di Padre Pedro, meravigliati di fronte a quello spettacolo planetario, conoscevano solo Gesù e Roberto Baggio. Uno di loro spiegò la differenza fra quei due campioni: “Gesù non avrebbe mai sbagliato un rigore nella finale del campionato del mondo”. È proprio così. Dio si fa vicino in ogni angolo della terra, ad ogni crocicchio di strada, dove anche noi passiamo, e ci chiama alla festa della vita, senza mai demordere. Chi accoglie l’invito, si accorgerà che la sua promessa è vera, al di là di ogni aspettativa e dei più grandi sogni, perché “Gesù non sbaglia mai”.

 

don Franco Colombini