Sotto il Campanile 30 Dicembre

Pubblicato giorno 28 dicembre 2018 - NOTIZIARIO

 

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Domenica nell’Ottava del Natale

  30 Dicembre 2018  –  Foglio n. 54

 

“La buona politica è al servizio della pace” Beati gli operatori di pace “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14). “È venuto il Cristo, nostro Salvatore. Non lo respingiamo! Non lo ignoriamo! Apriamo a lui la porta della nostra coscienza, della nostra vita personale, familiare, sociale. Egli non viene per ingombrare la stanza della nostra libertà. Viene piuttosto per illuminarla” (S. Paolo VI). Viene a portare la pace. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1 gennaio Papa Francesco richiama la politica al dovere della pace. Quella artigianale, che rifiuta l’intransigenza e la rabbia sterile, conosce le fragilità umane e se ne fa carico, cresce poco alla volta grazie all’impegno di tutti. Un modello unico non c’è, ma lo si può trovare coniugato in modi e gruppi differenti, in tanti uomini e donne che credono nelle mani sporche di fatica, nelle notti insonni alla ricerca di una soluzione, nell’importanza della competenza e dello studio, nel sacrificio della vita per disarmare i violenti e difendere i deboli. E, per chi ha fede, nel coraggio, nell’umiltà di inginocchiarsi.     Sognare la pace è bello, ma con i piedi per terra. Guardare lontano, a quello che sarà, ha senso se ci aiuta a cercare la verità, ad allargare gli orizzonti, ad anticipare il futuro. È il compito della buona politica, cui si chiede, nel rispetto del diritto alla vita, alla libertà e alla dignità delle persone, di “disegnare” e di rendere possibile un avvenire equo e giusto. Niente a che vedere con gli slogan urlati, la demolizione dell’altro a colpi di bugie, il tifo da stadio. Nel servizio alla pace non c’è posto per le promesse impossibili, per i numeri manipolati, per la malizia di progetti insostenibili. Soprattutto non possono avere cittadinanza la corruzione, il razzismo, la xenofobia e, guardando alla casa di tutti, le offese contro il creato.

Vizi dovuti – afferma il Papa – “sia a inettitudine personale, sia a storture nell’ambiente e nelle istituzioni”, distorsioni che finiscono per togliere “credibilità ai sistemi”, entro i quali si svolge il confronto pubblico, e che mortificano l’autorevolezza, le decisioni, l’azione delle persone che vi si dedicano.

Di più, sono “la vergogna della vita pubblica”, un vulnus che mette in pericolo “la stessa pace sociale”. Un antidoto esiste e si trova nel profondo di noi stessi, là dove si annida il senso di umanità, primo baluardo contro l’odio e l’indifferenza. Aumentarlo, renderlo fecondo, significa far respirare l’anima, rafforzare  i muscoli del cuore, dare aria nuova e più pulita al bisogno di libertà che è nel dna di ogni uomo. La via della pace è lenta, ma non può essere fermata, perché è ciò di più profondo che l’uomo desidera e tanti sono i suoi servitori.   Non è casuale che una delle più belle pagine sulla buona politica, un vero e proprio “discorso della montagna” dedicato all’impegno pubblico, porti la firma di chi, come il Cardinale vietnamita Van Thuan, ha dovuto fare i conti con la detenzione ingiusta, con l’orrore del carcere duro, con il sopruso, senza per questo perdere la fede. E la fiducia nell’uomo. Artefice di pace è stato Antonio Megalizzi, il giovane giornalista ucciso l’11 dicembre a Strasburgo dalla barbarie fondamentalista. Qualche giorno prima di morire aveva scritto parole profetiche: “Il tempo è troppo prezioso per passarlo da soli.

La vita troppo breve per non donarla a chi ami. Il cielo troppo azzurro per guardarlo senza nessuno a fianco. Nulla muore e tutto dura in eterno”. Gli amici della radio e dell’Università  gli hanno reso testimonianza dicendo in lacrime ai suoi funerali: “Non volevi essere un vip, Antonio, lasciavi parlare gli altri. Ed ora tutto il mondo parla di te, mentre invece volevi essere tu a far parlare il mondo. Grazie, Mega”. La voce del Vescovo di Trento ha sintetizzato la sua parabola umana, raccogliendola nel sogno di una vita:

In quest’epoca in cui le parole rischiano di non essere abitate, di essere svuotate, o addirittura utilizzate per trame di morte e per immettere nel cuore degli uomini odio e rancore, ti diciamo grazie, Antonio: grazie per aver creduto nella forza della parola che s’interroga, si pone domande e rinuncia a facili risposte. La parola che non s’impossessa di un microfono, ma offre voce agli altri e gode della loro ricchezza. Un pezzo di cielo è sceso in terra e ora vi fa ritorno. Per tutto e per sempre, grazie Antonio”.

Un ragazzo come tanti altri, entusiasta della vita e del futuro, fiducioso nella bontà dei cuori, artefice di un mondo e di un’Europa senza confini e senza pregiudizi, alla quale non vedeva alternativa. Un operatore di pace. Nella quotidianità. In Brasile, dove le carceri sono luoghi di violenza e il tasso di recidiva è altissimo, esistono “prigioni senza sbarre”, dove i detenuti sono responsabili della sicurezza della struttura. Non ci sono guardie, né armi. I carcerati non sono numeri, delinquenti irrecuperabili, ma persone, a cui è offerta la chance di prendere in mano la propria vita e rivoluzionarla, di fare i conti con le loro colpe e di superarle, di riconciliarsi con i familiari e con la società, di trasformarsi in uomini e donne nuovi. Alla domanda: “Com’è possibile che un carcerato scelga di non fuggire?”, la risposta che viene data è: “Dall’amore nessuno scappa”. Il mondo è percorso da tante e forti correnti di pace. Scorrono nel silenzio e in profondità. Non ci rimane che unirci e credere nell’utopia del bene. Insieme, rimboccandoci le maniche, ognuno al suo posto, ce la faremo.

Buon Anno!

don Franco Colombini