scarica ==> sotto il campanile 31 Gennaio 2021
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ MARIA E GIUSEPPE
31 Gennaio 2021 – Foglio n. 136
Gesù cresceva in sapienza, età e grazia (Lc 2, 52)
“I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero” (Lc 2, 41-43). Maria e Giuseppe, Gesù, la vita quotidiana. Così viene descritta la famiglia di Nazareth. Essere mamma e papà. È una condizione privilegiata, formidabile; una qualifica che segna per sempre; una realtà di crescita, di santità, di lode di Dio, di verità. Di tutto ci si può dimenticare, ma non dei figli. Si vive per loro, soprattutto quando sono fragili, deboli, in difficoltà. Anche nel caso – come purtroppo capita – di morte prematura, il figlio non se ne va. Impregna ed abita la carne di chi l’ha generato.
Quanti genitori vedo portare amore sulla tomba dei figli ogni giorno! Con il sole, sotto la piaggia, fino a quando le forze lo consentono. Una fedeltà eroica. Ci sono compiti, pesi, responsabilità, gioie, dolori, che non passano mai. Nella casa i figli crescono. Capiscono che la vita è messa nelle loro mani, va scelta, vissuta. Una percezione lenta, graduale, che porta ad una decisione definitiva. Ciascuno nasce un po’ artista. Sogna, fantastica, si entusiasma, si appassiona, cade, si rialza, ricomincia. Avverte forti desideri, ansie, nostalgie profonde, valori, ideali. Porta in sé – nascosto nell’animo – un mistero, qualcosa di grande, di unico, di irrepetibile. Un piccolo seme, che aspetta la stagione propizia per germogliare e manifestarsi. I fiori più belli, spesso, sono quelli che spuntano dopo i temporali. La vita quotidiana accompagna nel tempo il cammino della famiglia.
Per Gesù è stata la casa, la bottega del falegname, il villaggio, la sinagoga, Gerusalemme, il Tempio. Il lavoro, la preghiera, la comunità, i piccoli e i grandi gesti di sempre aprono all’universo umano con la sua complessità meravigliosa, pongono questioni immense, cercano valide risposte, preparano a ricevere i difficili segreti dello spirito, tengono viva l’attesa, che lascia tutto provvisorio, fino all’incontro con Dio. Gesù a Nazareth sentì la voce del Padre che lo voleva tutto per sé. Ricordo di aver letto nel Diario Spirituale di San Giovanni XXIII quanto gli fosse rimasta impressa l’immagine del papà che lo portava, bambino, sulle spalle, al Santuario della Madonna del Bosco.
I fatti incidono più delle parole. La fede di due poveri genitori contadini accompagnò il piccolo Angelo Giuseppe Roncalli alla presenza di Dio e credette. Quel dono illuminò l’intera sua esistenza e lo fece il Papa del Concilio, della “Pacem in terris”, della “Mater et Magistra”, del dialogo con l’uomo contemporaneo. Un Santo del nostro tempo.
La famiglia di Gesù mi riporta alla mia, dove ho conosciuto la gioia di essere amato. Nella fede limpida della casa ho visto da vicino il volto di Dio ed ho sentito la sua voce. Ricordo molto bene che la percezione di donarmi a Lui avvenne nella mia più tenera età. Non avevo chiaro come si sarebbe realizzata. La strada era lunga e in salita, ma fin da allora sapevo che Dio era il tutto della mia vita. La nonna veniva a svegliarci al mattino e ci segnava col segno della croce. Ci faceva recitare le preghiere mentre preparava la colazione. Intanto il papà si accingeva ad andare al lavoro. Metteva un giornale sotto la camicia per proteggersi dall’aria, inforcava la bicicletta e partiva per raggiungere la Saffa a Ponte Nuovo di Magenta, dopo aver legato la borsa con il pranzo. Non l’avrei più rivisto fino al tardo pomeriggio. Lo trovavo nell’orto. Frutta e verdura fresca non mancavano mai dalla nostra tavola e si conservavano con cura anche per l’inverno. Del papà ricordo l’allegria, l’ottimismo, la vivacità. Aveva una immensa fiducia nel bene. Il suo volto si velava di malinconia, solo quando ricordava gli anni terribili della guerra in Russia e i compagni rimasti là sepolti nella neve. La mamma era una donna riservata. Ispirava fiducia, quiete, tranquillità. Era sempre in movimento. Lavorava alla Snia Viscosa di Magenta. Faceva i turni. Partiva presto al mattino e tornava tardi alla sera. La vedevo andar via in bicicletta in qualsiasi condizione di tempo: al freddo, al gelo, sotto la piaggia, nella calura del sole, col buio, nel vento. Mi si stringeva il cuore. E al ritorno aiutava la nonna nelle faccende domestiche. Vedevo amore e tenerezza in ogni suo gesto. Nelle lunghe sere invernali l’aspettavo giocando con mio fratello, mentre il papà leggeva il giornale. La nonna in cucina, vicino alla stufa, ci cantava le canzoni della sua giovinezza e ci raccontava storie meravigliose, che ci mandavano a letto più buoni. Dopo cena recitavamo il Rosario e le preghiere della sera. Era il momento della convivialità. Ci si raccontava i fatti del giorno e ci scambiavamo i pensieri su quanto succedeva in paese e nel mondo. Alla domenica andavamo a Messa.
Un appuntamento importante. Prima della terza campana eravamo già fuori. Quando entravo in chiesa, la nonna mi faceva inginocchiare, mi teneva la testa bassa e mi sussurrava all’orecchio: “Sta giù, qui c’è il Signore!” . Ascoltavo volentieri le parole del Vangelo senza annoiarmi. Il parroco don Antonio Zuccotti predicava bene. Imparavo parole nuove e, al ritorno, cercavo il significato sul vocabolario. Nel pomeriggio, dopo l’Oratorio e i Vesperi, la mamma mi portava con sé a trovare gli ammalati. La seguivo con un po’ di timore, che superavo guardando il trasporto della sua gioia, come se Dio stesso fosse sceso ad incontrarla. La fede della mia famiglia era tutta amore, fiducia, gioia, carità. Solo più tardi scoprii da quale sorgente venissero la pietà, la forza, la dolcezza che ricevevo! Sono stati anni felici. Il mio cuore batteva di una speranza infinita. Si allargava agli ampi orizzonti della vita. Il mondo intero con le sue tante domande mi entrava dentro. Mi sentivo chiamato, interpellato. Fu facile arrendermi a Dio e alla sua Trascendenza. Già mi trovavo tra le sue braccia. Ho avuto la fortuna di vedere la mamma e il papà diventare anziani l’uno accanto all’altro. Con l’età scomparve la giovinezza dai loro volti, persero le forze, venne meno il vigore del corpo, ma non si spense la luce negli occhi.
“La morte non arriva con la vecchiaia, ma con la solitudine”, scriveva Garcia Marquez. Una sapienza antica, che affonda le radici nell’unica Parola vera, la Bibbia, ispirata dal Cielo e tutta penetrata dal mistero della sua origine. “Non è bene che l’essere umano sia solo”, recita la Genesi (2, 18). Mamma e papà continuarono ad amarsi con una tenerezza intensa, senza tempo. Speravano nell’eternità. L’attendevano come qualcosa che nell’amore avevano già assaporato. Non si sono mai separati. Nemmeno la morte ci è riuscita con la scomparsa del papà. Si cercavano. Si chiamavano. Si davano appuntamento e si incontravano nel cuore. Mi capitava di trovare la mamma assente, sola col suo Pino. Il Cielo li ha riuniti. Esiste l’amore che vince la morte. L’ho visto nella mia famiglia. Un messaggio che vale la pena vivere. Una stupenda parabola, una speranza piena di forza, come i raggi del sole dopo il temporale, quando, uscendo dalle nubi campeggiate nel cielo, si fanno strada e donano alla terra una nuova luce dorata.
don Franco Colombini