Sotto il Campanile 31 maggio

Pubblicato giorno 29 maggio 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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Domenica di Pentecoste
31 Maggio 2020 – Foglio n. 115
Tutti furono colmati di Spirito Santo

“Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità” (Gv 14, 16-17). Con il dono dello Spirito nel giorno di Pentecoste la Chiesa ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo come testimone dell’amore, comunità della Bellezza che salva, icona vivente della Trinità. Questa promessa si compie anche oggi. Lo Spirito Santo ci lega in una sola famiglia, dove l’unica legge è la santità, la fedeltà al Vangelo, l’amore. Porta uomini e donne come noi, tentati di pigrizia e di egoismo, a donare la propria vita. È vero, nella Chiesa ci sono tanti peccati, ma molti di più sono i motivi di gioia, perché il numero dei suoi santi è incalcolabile. Essi costruiscono la civiltà dell’amore, fanno nuovo il mondo, rendendolo fraterno.

Un secolo fa, il 23 maggio 1920, Papa Benedetto XV pubblicò l’Enciclica “Pacem Dei munus”. Aveva davanti a sé la penosa situazione economico-sociale, venuta a crearsi con la Prima Guerra Mondiale, “una inutile strage”. La pandemia della “spagnola” aveva causato decine di milioni di morti. Solo in Italia furono 600mila. I soldati, reduci dal fronte, non trovavano più i loro cari ad aspettarli. Anziani e giovani morivano, a tutte le età, privando l’industria e la campagna di braccia robuste per lavorare.

Il Papa scriveva: “Ci parano innanzi immense regioni desolate e squallide, moltitudini ridotte a tale estremo da mancare di pane, di indumenti e di letto; … infine una ingente schiera di esseri debilitati”. E affermava: “Mai però vi fu tempo in cui si dovessero più dilatare i confini della carità quanto in questi giorni di universale angustia e dolore; né mai forse come ora ebbe bisogno l’umanità di quella comune beneficenza che fiorisce dal sincero amore per il prossimo”. Un quadro che dipinge il nostro di oggi.
E proprio, mentre tra tante difficoltà stava nascendo la Società delle Nazioni, il Papa auspicava “un legame universale di popoli” e dichiarava desiderabile che, adempiuti i doveri di giustizia e di carità, tutti gli Stati “si riunissero in una sola società o meglio famiglia dei Popoli, sia per garantire la propria indipendenza, sia per tutelare l’ordine del civile consorzio”. E a questo fine proponeva “di ridurre, se non è dato di abolire, le enormi spese militari”.

Qualche anno dopo, nel 1929, esplose la Grande Depressione. Una crisi finanziaria ed economica dagli effetti devastanti. Uno choc psicologico ed etico per l’umanità. La paura, l’insicurezza, la povertà portarono a soluzioni sovranistiche, totalitarie, a cercare uomini forti, a cui affidare il destino. Le industrie delle armi crebbero a dismisura. L’opposto di quello che aveva auspicato il Papa. Una soluzione negativa, che indebolì la fragile Società delle Nazioni e sfociò nel secondo conflitto mondiale (1939-45), una catastrofe umanitaria di inaudite proporzioni.
Nel male assoluto si comprese che, per evitare in futuro il ripetersi di tali tragedie, bisognava mettersi insieme. Nacquero le “Nazioni Unite”, l’Onu, l’inizio di un sistema istituzionale di governo mondiale. Il suo primo atto fu la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Aprì una nuova strada, quella della solidarietà, fondata sulla fratellanza universale del genere umano, giunto sulla soglia del possibile suicidio atomico, il “grande crinale della storia”, come lo definì Giorgio La Pira, il santo sindaco di Firenze.
In quegli anni l’umanità tornò a respirare aria più pulita, a guardare con fiducia al futuro. Aveva voglia di fare, progredire, rialzarsi dalle macerie della guerra, creare benessere, andare avanti, non perdere tempo. Fu una Pentecoste politica. La confusione di Babele lasciò il posto al sogno della pace, già vagheggiato dal Profeta Isaia secoli prima: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Is 2, 4). Prendeva corpo quello che Papa Paolo VI gridò alcuni anni dopo al Palazzo di Vetro: “Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!” (04.10.1965)

Oggi si parla molto di piano Marshall e si invoca qualcosa di simile per il mondo del dopo-coronavirus. Ma non c’è più lo spirito di allora. Lo abbiamo visto nella crisi finanziario-economica del 2007-2008. La risposta solidaristico-fraterna, che sarebbe stata la più opportuna, non è riuscita a imporsi. Sono sorte invece posizioni neosovraniste, che hanno minato e deriso gli ideali della fraternità e della solidarietà universale. La catastrofe umanitaria, provocata dalla pandemia di Covid-19, ci riporta al “grande crinale della storia”. Solo una soluzione solidaristico-fraterna universale, che ponga all’ordine del giorno una forma di governo mondiale, potrà salvarci. È ancora un Pontefice, Papa Francesco, a indicare la strada da seguire con tenacia e argomenti forti. I dogmi neoliberisti e le prese di posizioni nazionalistiche sono un errore tragico e fatale, che l’umanità non può permettersi. Le chiusure si pagano care e lo stiamo sperimentando sulla nostra pelle. Bisogna ritrovare lo spirito della Pentecoste e parlare l’unico linguaggio della solidarietà fraterna, che non dimentica nessuno, condivide le risorse, sostiene i deboli, si mette al passo dei più poveri.
Oggi la speranza è grande. La fede ci dice che si ripeterà il miracolo delle origini. L’umanità sarà pervasa dallo Spirito Santo nella gioia del dono di sé. “Venne all’improvviso dal cielo come un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro di esprimersi” (At 2, 2-4). Vedo una Chiesa stupenda, bella, segno dell’unità del genere umano e della fusione dei cuori nella molteplicità delle lingue, capace di educare all’amore gratuito e al dono della vita, dove ci si vuole bene e nessuno viene abbandonato nel bisogno. Mi affascina e mi coinvolge una Chiesa così, nel desiderio di vederla sempre più luminosa nella santità. È un dono straordinario che il Signore fa al mondo in questo tempo di pandemia. Possiede una parola chiara per i grandi della terra, se la vogliano ascoltare e ricostruire. Annuncia con la vita il Vangelo della misericordia, facendosi serva degli uomini e dei poveri. È in cammino con le genti verso “un nuovo cielo e una nuova terra” (Apc 21, 1), quando la giustizia e la pace saranno un bene per tutti.

don Franco Colombini