Sotto il Campanile 4 marzo 2018

Pubblicato giorno 3 marzo 2018 - NOTIZIARIO

 

scarica –> sotto il campanile 4 marzo 2018

III di Quaresima

4 Marzo 2018 – Foglio n.25
La fede di Abramo porta alla “terra promessa”
Questa domenica siamo chiamati alle urne per scegliere il Parlamento della Repubblica e della Regione Lombardia. La Parola di Dio ci mette in guardia da coloro che hanno la pretesa di possedere la bacchetta magica per risolvere ogni problema – come i Giudei al tempo di Gesù – dimenticando la sapienza, la prudenza, l’umiltà, l’ascolto, la ricerca, il dialogo per costruire il bene comune con il contributo di tutti. La prima Lettura del libro dell’Esodo ci indica i venditori di menzogna, che promettono il vitello d’oro senza fatica, guadagnandoci sopra. Mosè, invece, guida a libertà, camminando nelle asperità del deserto, seguendo la voce di Dio, scritta nel cuore, prima che sulla pietra. Una società compatta nasce dal sacrificio di chi sogna la “terra promessa” e l’insegue senza indietreggiare davanti alle difficoltà, convinti che insieme – se l’ideale prende la vita – si possono spostare le montagne e far cadere le mura di Gerico.
La lezione di don Sturzo, vicino alla gloria degli altari, è una grazia per i nostri tempi. Insegna che la politica non è una cosa sporca. La santità può abitare anche tra gli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama, del Pirellone. Non è semplice per un cattolico scegliere l’impegno politico. Un’impresa difficile, soprattutto per i pionieri, quelli che aprono strade nuove, i “profeti”. Don Sturzo fu uno di questi. Ha vissuto transizioni storiche complesse, dalla Monarchia alla dittatura fascista fino alla Repubblica, da prete, per intero, fino all’ultimo dei suoi giorni. “Obbediente, ma non sottomesso”, sacerdote al punto di sentire il dovere dell’impegno diretto, in un Sabato Santo – era il 1895 – , osservando la miseria di un quartiere romano di periferia. La politica quando traduce il Vangelo in azione ed è carità autentica, guarda in faccia alle persone, scende per strada, si sporca le mani, chiama per nome l’ingiustizia e l’oppressione. Predica bene e vive allo stesso modo.
Don Luigi Sturzo non si pose il problema del dualismo tra attività sociale e scelte private, così come la ricerca del bene di tutti mai fu separata dall’esercizio delle virtù individuali. Etica e impegno non sono in contrasto. “La politica è per sé un bene – scriveva nel 1925 –, il far politica è, in genere, un atto d’amore per la collettività: tante volte può essere anche un dovere per il cittadino”. Don Sturzo avvertì forte la chiamata a incarnare nella storia concreta la sfida di un messaggio di salvezza, capace di leggere e assecondare il cambiamento, rivolto a ogni uomo e a tutto l’uomo. Non solo un afflato spirituale, per quanto nobile, ma una chiave interpretativa del reale, una lente d’ingrandimento, una luce accesa sulle sfide sociali e sui mali del tempo, alcuni diventati poi triste eredità per i nostri giorni. Don Sturzo fu tra i primi a vedere i pericoli legati alla persuasività criminale della mafia, a denunciare i rischi della partitocrazia e dello statalismo. Fu strenuo e appassionato difensore della Costituzione Repubblicana.
Le scelte, che allora gli valsero l’emarginazione e l’esilio, oggi sarebbero medaglie al merito. Si ispirò al Vangelo nell’elaborazione del pensiero e delle strategie politiche, tenne viva l’attenzione ai poveri come espressione della “fratellanza comune per la divina paternità”, avvertì inscindibile il legame tra l’amore cristiano e la ricerca della giustizia. In don Sturzo la fede non fu mai separata dalla prassi, ma la pervase, l’abbracciò, la rese feconda. La missione del cattolico in qualsiasi ambito è testimonianza, riflesso, immagine del divino. Se manca, tutto si sporca e si rovina. Dal servire si passa al servirsi. La logica del “noi” diventa culto narcisistico di sé e dei propri interessi.
L’itinerario umano di don Sturzo si gioca su questi temi, nella sensibilità di un sacerdote che non dimenticò mai di esserlo. Visse l’impegno sociale come chiamata e dovere. Considerò l’attività politica “una conseguenza” di quella religiosa. “Si può essere di partito diverso – scriveva nel 1942 – , di diverso sentire, anche sostenere le proprie tesi sul terreno politico ed economico e pure amarsi cristianamente”. Un richiamo al rispetto, alla tolleranza, all’amicizia civica. Una sfida per questa nostra stagione avvelenata e arrabbiata con scontri che sfociano nella violenza, nell’insulto, nella menzogna. Una provocazione. Un invito all’agire per i credenti. Una grazia per chi concepisce la politica come amore, vocazione, carità, anzi, per dirla con il Beato Paolo VI, “una delle forme più alte della carità”.

don Franco Colombini