Sotto il Campanile 4 novembre 2018

Pubblicato giorno 1 novembre 2018 - NOTIZIARIO

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Domenica II dopo la Dedicazione 4 Novembre 2018 – Foglio n. 46 Anniversario della fine della Grande Guerra 1915/18 .

“Egli è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne”. Così ci dice oggi San Paolo nelle Lettera agli Efesini (2, 14). È un bellissimo sogno, una speranza, una profezia. I nostri soldati in trincea non vedevano l’ora di tornare a casa, vivere in famiglia, coltivando i campi, lavorando nelle fabbriche, tirando grandi i propri figli. In pace. Alla fine della Grande Guerra del 1915/18 la pace rimane ancora un ideale da difendere e conquistare. La tentazione di elevare muri, scavare solchi, dividerci in bianchi e neri è sempre in agguato e genera guerra. Anche la tragedia di Desirée, che ci ha molto colpito in questi giorni, è piena di solitudine e parla di tanti fallimenti, che hanno portato alla morte: la crisi familiare, all’origine della sua inquietudine, con un padre di cui non portava il cognome e una madre di soli 15 anni più grande di lei; l’assenza delle agenzie educative che avrebbero dovuto proteggerla, evitando che da Cisterna di Latina prendesse l’autobus per andare a Roma di sera a cercare la droga; la disgregazione del tessuto istituzionale, incapace di governare certi spazi urbani, lasciandoli al degrado e al disordine, ricettacolo di violenza, brutalità, malaffare.

Ma dietro a queste cause immediate ce ne sono altre più profonde, che mettono in discussione anche noi: la progressiva scomparsa di adulti credibili con i quali i ragazzi possono misurarsi; la mancanza di gerarchie di valori in grado di orientare il cammino dei più giovani; la deflagrazione del desiderio che sembra non avere nessun ostacolo; una malintesa concezione della libertà quale superamento di ogni limite; l’idea Sotto il campanile Domenica 28 Ottobre 2018 errata che la conoscenza del mondo non debba passare attraverso l’elaborazione autentica della realtà; la fungibilità delle relazioni sociali, troppo spesso legate a criteri di mera convenienza economica; la fine della vera sapienza e il trionfo della semplice – e spesso parziale – informazione; lo sfacelo del linguaggio politico che passa dalla bieca speculazione elettorale al vaniloquio gergale privo di riscontri effettivi. Via dei Lucani – dove si trova il palazzo risultato fatale a Desirée – è a pochi passi dall’Istituto S. Pio X, che ospitò Ignazio Silone durante la Prima Guerra Mondiale, rimasto orfano dopo il terribile terremoto del 1915. A quel tempo il grande scrittore abruzzese aveva 16 anni, l’età della povera Desiréè. Durante l’ora di ricreazione scappò dal Collegio religioso, vagando nelle strade attorno alla Stazione Termini senza sapere cosa fare. In quel momento Silone era soltanto un fanciullo abbandonato. Dopo tre giorni venne ripreso dai carabinieri e trasferito in un altro collegio a Sanremo. Durante il viaggio in treno verso la Liguria – come in seguito rievocò in uno dei brani narrativi più intensi di Uscita di sicurezza (1965) – conobbe don Luigi Orione, che aveva visto aggirarsi fra le macerie del terremoto e chiedere al re una macchina per mettere al sicuro i bambini rimasti senza famiglia. Fu un incontro folgorante che gli cambiò la vita.

Perlustrando i luoghi di Ignazio Silone, dove abita un mio amico prete, restai colpito dalla simmetria fra la sua drammatica giovinezza e quella di tanti ragazzi che oggi, sotto gli occhi di tutti, comprano la loro dose di artificiale felicità chimica nei pressi dell’edificio, da cui lui fuggì. Sbaglieremmo se li considerassimo tarati e lontani da noi. Sarebbe un errore grave. Fra i giovani sbandati e i bravi ragazzi, così come fra i “mostri” e le persone ordinarie, qualsiasi sia il colore della pelle, la differenza è sempre piuttosto sottile: basterebbe un niente per passare da una schiera all’altra e sprofondare nell’abisso. Anche coloro che sembrano stare al sicuro, con i genitori a posto e le frequentazioni giuste, rischiano tantissimo. Non dobbiamo perdere la fiducia. Esistono ancora famiglie che tengono duro. E anche i “don Orione” continuano a operare e ottengono grandi vittorie senza titoli sui giornali. Fare il genitore e l’educatore oggi è più difficile che in passato.  Sembra di essere soli a remare controcorrente. Ma è questa la ragione per cui non bisogna mollare. “Egli è la nostra pace” (Ef 2, 14) e ci aiuterà. C’è una terra, una abitazione, che ci attende, dove andare e vivere felici in fraternità. E ci arriveremo: “Li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera” (Is 56, 7). Tocca a noi raccogliere l’invito e darci da fare: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare, perché la mia casa si riempia” (Lc 14, 23).

 

don Franco Colombini