Sotto il Campanile 4 ottobre

Pubblicato giorno 1 ottobre 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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VI Domenica dopo il Martirio di San Giovanni Battista
04 Ottobre 2020 – Foglio n. 119
S. Francesco d’Assisi – Domenica dell’Ulivo

“Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10). L’invito di Gesù giunge nella giornata che inizia il cammino pastorale del nuovo anno, illuminato da due figure straordinarie.
Don Roberto Malgesini, un prete che tutti vorremmo incontrare almeno una volta. Uno di quelli capace di far intendere anche ai più duri di cuore che cos’è una vocazione, una vita riuscita, piena, felice. Di lui mi colpisce il silenzio, quello interiore della preghiera e il più banale “tacere”, che non si perde in recriminazioni, proteste, proclami clamorosi, interviste, dichiarazioni, battaglie verbali. Nessuna reazione polemica, neppure dopo essere stato multato per aver portato la colazione ai senza fissa dimora.

Parlava il linguaggio della strada. La sua denuncia erano le mani usate per sollevare i bisognosi. Predicava l’amore con gli occhi piantati nello sguardo del povero, che lo restituivano alla dignità di persona, di amico, di fratello. Ogni sera ritirava l’invenduto da fornai e pasticcieri della città e al mattino lo portava a chi vive di niente ed ha solo la speranza per compagna. Partiva all’alba, il giro quotidiano nella povertà più estrema, dopo una sveglia all’aurora per stringersi in intimità con Dio, adorandolo nel tabernacolo della chiesa. Un dialogo solitario, lungo, silenzioso, essenziale. Un’ora tutte le mattine. Non di rado anche a notte fonda.

L’unico scritto, che ha lasciato, sono le voci degli ultimi, raccolte nella Via crucis del Venerdì Santo di due anni fa. Le ha sintetizzate in un titolo dalla semplicità rivoluzionaria. “Ho visto dei fratelli …”. Sono storie di migranti, disperati, uomini e donne derubati di tutto, persone di strada, sole, fragili, senza fissa dimora, carcerati, tossicodipendenti, donne della tratta, profughi, “la carne di Cristo”, che visitava con affabilità e tranquillità disarmante, per assicurare una parola, una bevanda calda, una coperta, un abbraccio
Al termine di quella Via Crucis furono distribuiti quadratini di stoffa colorata “simbolo dell’amore e della misericordia di Dio, infinita, sconfinata, immeritata”. Se cuciti insieme, quei pezzettini potevano formare una coperta, con cui portare calore, affetto, comprensione a chi ne ha bisogno. Senza troppe parole, in silenzio. Come don Roberto. Un Cristo dei nostri tempi.

La sua testimonianza rivela un volto straordinario di Chiesa, che si fa pane spezzato per la fame d’amore, d’accoglienza, fraternità, perdono. Una Chiesa che porta tutti, soprattutto i poveri, al centro del suo cuore. Li serve. Li cerca. Si china su ogni persona con la benevolenza di Gesù, come se fosse l’unica. Un grande segno evangelico per un mondo distrutto dall’odio.

La Chiesa della carità, che sa riconoscere negli ultimi il volto di Dio, serva di un amore che non muore mai.
San Francesco d’Assisi, il mio santo protettore. All’inizio del sentiero che porta al convento di San Damiano sta una grossa pietra con incise le parole: “Laudato sie mi Signore, cum tutte le tue creature”. Un cantico che fa vibrare i sentimenti più puri dell’animo umano. L’ha composto quando era quasi cieco e vicino alla morte.

Il figlio spensierato e gaudente di Pietro Bernardone un giorno decise di non adorare più se stesso e di seguire Cristo. Fu conquistato dal Vangelo. Si estasiò per il mistero dell’Incarnazione e nei pressi di Greccio inventò il presepio. La crocifissione lo commuoveva fino alla lacrime. Fece suo ogni invito a passare per la porta stretta. Si trovò faccia a faccia con i lebbrosi. Scopri in loro il volto di Cristo, li abbracciò amandoli più di se stesso. Chinarsi su Cristo e sull’umanità sofferente divenne per lui la medesima cosa. Si innamorò dell’ “altissima povertà”. Lasciò tutto nelle mani del padre e prese la croce, l’amore più grande. E a mano a mano che nella sua carne s’imprimeva la passione di Cristo per gli uomini, si liberava “dalla nebbia densa delle cose terrene … . Saliva leggero alle altezze celesti e s’immergeva puro nella luce”.

Sul monte della Verna Dio stesso lo segnò con le stimmate di Gesù, suo Figlio; ed egli rispose cantando a Dio i sentimenti dell’anima innamorata e trasfigurata in Cristo: “Tu sei Santo, Signore, Iddio unico; Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei l’Altissimo, sei il Padre Santo, il bene, tutto il bene, il sommo bene. Tu sei amore, sei sapienza, sei umiltà, sei pazienza, bellezza, sicurezza, sei pace, gaudio, letizia … , Tu sei speranza, fede e carità, sei fortezza, sei rifugio, sei la nostra dolcezza, sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso e salvatore”.

Mi piace la Chiesa così come l’ha tratteggiata Francesco, lodando Dio. Una Chiesa lieta, contenta, libera dai condizionamenti mondani e dai poteri forti, docile allo Spirito, pronta a seguirne la voce e a navigare nei mari aperti della storia, parlando l’unico linguaggio dell’amore. Una Chiesa che riconosce in tutte le creature l’opera e la gloria di Dio, vede in ogni uomo e donna l’immagine di cui egli è geloso, adora nei sofferenti e negli ultimi il volto prediletto del Figlio suo. Una Chiesa che pone Dio sopra ogni cosa, salva le energie umane dalla schiavitù del male e dalla zavorra inutile. Non mette alcun idolo di fronte all’unico Dio, al Dio di Gesù Cristo, morto e risorto: non il denaro, non il potere, non il consumo, non il benessere, non i vizi. Lui solo ama, Lui solo serve e il prossimo come sé stessi, fino a dare la vita. Una Chiesa unita, dove le diversità si compongono nell’unità dell’amore fraterno. Una Chiesa in dialogo, aperta ai valori, alle culture, alle civiltà, ai pensieri, non timida e rassegnata davanti ai prodigi della tecnica, che vuole tutto risolvere, ma non ha risposte alle domande di senso che vengono dal cuore. Una Chiesa limpida, pura, trasparente, che dice la verità, non ha nulla da temere o da nascondere, smaschera le ipocrisie, denuncia le ingiustizie, sta dalla parte degli oppressi e lotta con loro, percorre i sentieri della pace e la costruisce con ogni uomo e donna di buona volontà. Una Chiesa accogliente, che invoca Dio Padre a una sola voce con ogni fratello e sorella da qualunque parte pervenga. Allarga la sua tenda per far posto all’uomo avvilito, che ha fame, sete, è forestiero, nudo, malato, in carcere, non ha voce, è senza casa, disoccupato, emarginato, stanco, solo. Una Chiesa amica che prende tutti per mano, ascolta, perdona, accompagna dove c’è “pace e bene”. Una Chiesa che è “perfetta letizia”, povera, innamorata di Dio, serva dell’uomo, che ama, e di nessun altro.

Una Chiesa così è una “bomba” d’amore, che rinnova la faccia della terra. Senza pretesa di cambiare le strutture sociali del suo tempo, Francesco ha rivoluzionato la storia. È ora di mettere mano al destino dell’umanità. “Se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza”. I santi ci aprono la strada. Seguendoli, Dio compirà meraviglie.

don Franco Colombini