Sotto il Campanile 5 aprile 2020

Pubblicato giorno 2 aprile 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

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Domenica delle Palme
05 Aprile 2020 – Foglio n. 107
L’alba di un mondo nuovo

Mi piace ricordare oggi le nostre belle processioni con le palme, piene di bambini felici, accompagnati dai genitori e dall’intera comunità in cammino, cantando, osannando, inneggiando al Signore con gli ulivi in mano nel caldo sole di primavera e sotto la volta del cielo splendente di azzurro. E poi alla fine tutti a casa per continuare la festa in famiglia, portando il ramoscello di ulivo in segno di pace.
Nella mia mente scorrono oggi anche le immagini di un’altra processione, quella di Bergamo. Una lunga colonna di camion, con grossi fari tondi accesi nel buio, uguali negli scuri colori mimetici. Una lentissima marcia funebre. Un corteo di morti, di decine e decine di vittime del virus. Difficile da dimenticare. Una scena che vale più di mille parole, scritta per sempre nel cuore devastato dalla pena e nella storia di un Paese in lotta contro la morte.
Ci sono schiaffi e sconfitte che cambiano l’esistenza. Ci fanno maturare, ci rendono pensosi, meno distratti, più seri, consapevoli di ciò che è la vita e la morte. Quegli sconosciuti – quasi tutti anziani, deportati dai loro paesi e dagli affetti, lontani, nella distanza e nella solitudine, senza la grazia di un addio in famiglia e in comunità – parlano in silenzio e dicono cose, che segnano il destino. Se li sapremo ascoltare, la pietà di quella notte anticiperà la luce del giorno.
Proprio in quella stessa vigilia di San Giuseppe, 77 anni fa, il 19 marzo 1943, una tradotta militare varcò il Brennero ed entrò in Italia, carica di soldati sfiniti, reduci dal Don. Ragazzi partiti ignari, fieri, rientravano decimati dopo aver camminato per giorni e giorni nella steppa desolata a fianco della morte. Lo raccontava mio papà con commozione – lui che aveva fatto la ritirata di Russia con i piedi congelati – a noi figli del dopo guerra, perché non dimenticassimo. Sono tornati più umili, umani, con la voglia di cambiare il mondo, lasciando alle spalle per sempre l’inutile atrocità della guerra. Ci hanno insegnato il lavoro, la fatica, il sacrificio, a volerci bene. Non c’è nulla che vale la pace.

Con la Domenica delle Palme inizia la Settimana “In autentica”, la grande Settimana Santa. Essa si svolge come un dramma, che ha il suo prologo nell’ingresso di Gesù in Gerusalemme e prosegue in tre atti – il Giovedì, il Venerdì e il Sabato Santo – , per culminare nel momento finale della Pasqua e della Pentecoste. Quest’anno le nostre chiese resteranno vuote. Potremo vivere solo a distanza la Messa In Coena Domini, la Via Crucis, la Veglia del Sabato Notte, con il suono gioioso delle campane, che annuncerà al mondo la Resurrezione del Signore. Non occorrono altri passi nell’accompagnare Gesù sulla Via della Croce. Basta pensare alle stanze
dei nostri ospedali, di Madrid, di New York, del mondo; ai ricoverati senza la vicinanza dei parenti,
negli ospizi e nelle Rianimazioni. La Via Crucis dell’anno 2020 abita nella carne dei nostri anziani,
dei malati di ogni età, dei famigliari in pianto. Prego e supplico in ginocchio perché questa dolorosa
Pasqua sia certezza di resurrezione per l’umanità smarrita. Ogni cosa passerà dalla morte alla
vita. Tutto diventerà nuovo. E’ la nostra granitica speranza.

Guardo Gesù e cerco di immaginare quanto avvenne quel giorno. Dopo aver lasciato la casa di
Lazzaro a Betania, dove aveva trascorso la notte, si incamminò verso Gerusalemme. Sul Monte
degli Ulivi si fermò per ammirare in tutto il suo splendore la città santa, da lui tanto amata. Forse gli
tornò alla mente quando, dodicenne, giunse a Gerusalemme con i suoi genitori per la Pasqua. In
quella occasione i suoi occhi incantati e meravigliati si erano posati sul tempio per la prima volta,
ne aveva sentito il fascino, l’attrazione. Ora lo contemplava per l’ultima volta.

Intanto la folla, arrivata in città per l’annuale festa della Pasqua, gli andava incontro e lo acclamava,
agitando rami di palme e di ulivo: “Osanna! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore, il
re d’Israele!” (Gv 12, 13). Mi sembra di percepire ancora oggi – ricordando le nostre belle processioni
– la gioia irrefrenabile della gente, l’entusiasmo, lo slancio, l’euforia incontenibile. Da secoli
il popolo attendeva Colui che l’avrebbe liberato, l’inviato di Dio, l’Unto, il Messia. Ed ecco, misteriosamente,
se lo trovava davanti in Gesù, il re lungamente sospirato, il Figlio di Davide. E Gesù
lasciò fare, anzi sembrava compiaciuto. Montò su un asino, attraversò la porta, entrò in città allo
stesso modo del re Salomone, come era stato predetto dal profeta, tra le acclamazioni della gente:
“Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli” (Lc 19, 38). Immagino l’emozione di Maria, presente tra
la folla con le altre donne. Quelle parole le aveva già sentite più di trent’anni prima sulle colline di
Betlemme. Ora tutto si compie.
Il messaggio di Gesù è sempre lo stesso ed è sconvolgente. E’ lui il re giusto, portatore di pace,
annunziato dal profeta. La sua regalità è mitezza, compassione, servizio, perdono, amore. La sua
onnipotenza sta nella debolezza, la sua grandezza nell’umiltà. Dissolve nella misericordia la violenza
dei nostri errori, gli sbagli, i tradimenti, le perversioni, le ingiustizie, per insegnarci a trarre il
bene dal male, la vita dalla morte.

Presto usciremo dall’angoscia che ci attanaglia. Saremo chiamati a progettare il futuro, “whatever
it takes” (qualunque cosa serva). Sta a noi inventare una società nuova, più bella, sostenibile,
umana, fraterna, accogliente, come fecero i nostri padri. E la strada da seguire è già tracciata.
L’ha percorsa Gesù prima di noi, il Dio fatto uomo. Porta lontano. Costruisce il suo regno. Vince la
morte. Instaura l’impero eterno della pace e della giustizia. Abbatte le frontiere. Rende gli uomini
fratelli. “Beati i miti, gli umili, gli afflitti, i poveri, gli operatori di pace, i perseguitati e gli assetati di
giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore” (Mt 5, 1-12). L’intelligenza interiore dello spirito ci dice che
è tempo di impegnare tutte le nostre energie, perché questo accada.

don Franco Colombini