Sotto il Campanile 5 Febbraio

Pubblicato giorno 4 febbraio 2023 - Avvisi, In home page, in primo piano, NOTIZIARIO

 

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V Domenica dopo l’Epifania

Giornata per la vita

05 Febbraio 2023 – Foglio n. 211

sù compì molti segni all’inizio del suo ministero per rivelare la presenza di Dio nella storia. Il primo avvenne a Cana di Galilea, dove cambiò l’acqua in vino. In questo stesso villaggio, dopo qualche giorno, gli fu chiesto di guarire un bambino ammalato,
che si trovava a Cafarnao. Fu il padre a supplicarlo, un pagano al servizio del re Erode Antipa, colui che avrebbe condannato a morte Giovanni il Battista e interrogato Gesù durante la passione, prendendolo in giro. Là dove qualcuno soffre, piange, muore, Dio c’è e non fa preferenze di persone. Basta la fede. “Va’, tuo figlio vive” (Gv 4, 50).
Quell’uomo “credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino” (Gv 4, 50). Scelse la strada dell’affidamento incondizionato. Non continuò a crogiolarsi nel dolore per trovare una spiegazione inesistente. Si affidò a Colui che ama la vita e
ritrovò suo figlio. Fu il secondo segno compiuto da Gesù. “Tuo figlio vive!”. È un Vangelo, una buona notizia. La vita è il diritto primario di ogni persona, che non può mai essere barattato con la morte. Nella Giornata in difesa della vita i Vescovi indicano la
strada per costruire la civiltà dell’amore.
don Franco Colombini

MESSAGGIO PER LA 45° GIORNATA NAZIONALE PER LA VITA.

“In questo nostro tempo, quando l’esistenza si fa complessa e impegnativa, quando sembra che la sfida sia insuperabile e il peso insopportabile, sempre più spesso si approda a una “soluzione” drammatica: dare la morte. Certamente a ogni persona e situazione
sono dovuti rispetto e pietà, con quello sguardo carico di empatia e misericordia, che scaturisce dal Vangelo. Siamo infatti consapevoli che certe decisioni maturano in condizioni di solitudine, di carenza di cure, di paura dinanzi all’ignoto. È il mistero del male che tutti sgomenta, credenti e non. Ciò, tuttavia, non elimina la preoccupazione che nasce dal constatare come il produrre morte stia progressivamente diventando una risposta pronta, economica e immediata a una serie di problemi personali e sociali. Tanto più che dietro tale “soluzione” è possibile riconoscere importanti interessi economici e ideologie che si spacciano per ragionevoli e misericordiose, mente non lo sono affatto.
Quando un figlio non lo posso mantenere, non l’ho voluto, quando so che nascerà disabile o credo che limiterà la mia libertà o metterà a rischio la mia vita, la soluzione è spesso l’aborto. Quando una malattia non la posso sopportare, quando rimango solo,
quando perdo la speranza, quando vengono a mancare le cure palliative, quando non sopporto veder soffrire una persona cara, la via d’suscita può consistere nell’eutanasia o nel “suicidio assistito”. Quando la relazione con il partner diventa difficile,
perché non risponde alla mie aspettative, a volte l’esito è una violenza che arriva a uccidere chi si amava – o si credeva di amare – sfogandosi persino sui piccoli e all’interno delle mura domestiche. Quando il male di vivere si fa insopportabile e nessuno sembra bucare il muro della solitudine, si finisce non di rado col decidere di togliersi la vita. Quando l’accoglienza e l’integrazione di chi fugge dalla guerra o dalla miseria comportano problemi economici, culturali e sociali si preferisce abbandonare le persone al loro destino, condannandole di fatto a una morte ingiusta. Quando si acuiscono le ragioni di conflitto tra i popoli, i potenti e i mercanti di morte ripropongo sempre più spesso la “soluzione” della guerra, scegliendo e propagandando il linguaggio devastante delle armi, funzionale soprattutto ai loro interessi. Così, poco a poco, la “cultura della morte” si diffonde e contagia.
Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – ci indica una strada diversa:

dare non la morte, ma la vita, generare e servire sempre la vita. Ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore, anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa. Ci aiuta ad accogliere la drammatica prepotenza della malattia e il lento venire
della morte, schiudendo il mistero dell’origine e della fine. Ci insegna a condividere le stagioni difficili della sofferenza, della malattia devastante, delle gravidanze che mettono a soqquadro progetti ed equilibri, offrendo relazioni intrise di amore, rispetto, vicinanza, dialogo e servizio. Ci guida a lasciarsi sfidare dalla voglia di vivere dei bambini, dei disabili, degli anziani, dei malati, dei migranti e di tanti uomini e donne che chiedono soprattutto rispetto, dignità e accoglienza. Ci esorta a educare le nuove generazioni alla gratitudine per la vita ricevuta e all’impegno di custodirla con cura in sé e negli altri.
Ci muove a rallegrarci per i tanti uomini e le donne, credenti di tutte le fedi e non credenti, che affrontano i problemi producendo vita, a volte pagando duramente di persona il loro impegno; in tutti costoro riconosciamo infatti l’azione misteriosa e vivificante dello Spirito, che rende le creature “portatrici di salvezza”. A queste perone e alle tante organizzazioni schierate su diversi fronti a difesa della vita va la nostra riconoscenza e il nostro incoraggiamento.
D’altra parte, è doveroso chiedersi se il tentativo di risolvere i problemi eliminando le persone sia davvero efficace. Siamo sicuri che la banalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza elimini la ferita profonda che genera nell’animo di molte donne che vi hanno fatto ricorso? Donne che, in moltissimi casi, avrebbero potuto essere sostenute in una scelta diversa e non rimpianta, come del resto prevedrebbe la stessa Legge 194 all’Art. 5. È questa la consapevolezza alla base di un disagio culturale e sociale, che cresce in molti Paesi e che, al di là di indebite polarizzazioni ideologiche, alimenta un dibattito profondo volto al rinnovamento delle normative e al riconoscimento della preziosità di ogni vita, anche quando ancora celata agli occhi: l’esistenza di ciascuno resta unica e inestimabile in ogni sua fase. Siamo sicuri che il suicidio assistito o l’eutanasia rispettino fino in fondo la libertà di chi li sceglie – spesso sfinito dalla carenze di cure e relazioni – a manifestino vero e responsabile affetto da parte di chi li accompagna a morire? Siamo sicuri che la radice profonda dei femminicidi, della violenza sui bambini, dell’aggressività delle baby gang non sia proprio questa cultura di crescente dissacrazione della vita?
Siamo sicuri che dietro il crescente fenomeno dei suicidi, anche giovanili, non ci sia l’idea che “la vita è mia e ne faccio quello che voglio?”. Siamo sicuri che la chiusura verso i migranti e i rifugiati e l’indifferenza per le cause, che li muovono, siano la strategia più efficace e dignitosa per gestire quella che non è più solo un’emergenza? Siamo sicuri che la guerra, in Ucraina come nei Paesi dei tanti “conflitti dimenticati”, sia davvero capace di superare i motivi da cui nasce? “Mentre Dio porta avanti la sua creazione e noi uomini
siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione” (Papa Francesco,
Omelia al Sacrario di Redipuglia, 13 settembre 2014).

Dare la morte come soluzione pone una seria questione etica, perché mette in discussione il valore della vita e della persona umana. Alla fondamentale fiducia nella vita e nella sua bontà – per i credenti radicata nella fede – , che spinge a scorgere possibilità
e valori in ogni condizione dell’esistenza, si sostituisce la superbia di giudicare se e quando una vita, foss’anche la propria, risulti degna di essere vissuta, arrogandosi il diritto di porle fine. Desta inoltre preoccupazione il constatare come ai grandi progressi
della scienza e della tecnica, che mettono in condizione di manipolare ed estinguere la vita in modo sempre più rapido e massivo, non corrisponda un’adeguata riflessione sul mistero del nascere e del morire, di cui non siamo evidentemente padroni. Il turbamento
di molti dinanzi alla situazione, in cui tante persone e famiglie hanno vissuto la malattia e la morte in tempo di Covid, ha mostrato come un approccio meramente funzionale a tali dimensioni dell’esistenza risulti del tutto insufficiente. Forse è perché abbiamo perduto
la capacità di comprendere e fronteggiare il limite e il dolore che abitano l’esistenza, che crediamo di porvi rimedio attraverso la morte?
La Giornata per la vita rinnovi l’adesione dei cattolici al “Vangelo della vita”, l’impegno a smascherare la “cultura della morte”, la capacità di promuovere e sostenere azioni concrete a difesa della vita, mobilitando sempre maggiori energie e risorse. Rinvigorisca
una carità che sappia farsi preghiera e azione: anelito e annuncio della pienezza di vita coniugale che Dio desidera per i suoi figli; stile di vita coniugale, familiare, ecclesiale e sociale, capace di seminare bene, gioia e speranza, anche quando si è circondati da
ombre di morte”.

I Vescovi d’Italia

PROGETTO GEMMA. CENTRO DI AIUTO ALLA VITA.
Grazie alla nostra comunità è venuto alla luce un
bambino, come dice questa lettera di ringraziamento:

“Collegno, 30 ottobre 2022. Gentilissime
Signore Campagnoli e Locati, possiamo annunciare che Gabriel, il bimbo di Mara, mamma da voi adottata, è venuto alla luce il 25 ottobre alle
16,26! Il parto, purtroppo, non è stato facile. Dopo un travaglio lunghissimo Mara è stata sottoposta ad un cesareo d’urgenza. Il bimbo ha patito un pochino, ma si è ripreso in fretta e la mamma è ancora spossata ma felice. Gabriel pesa 3, 310 Kg e prende il latte dalla mamma. Eccolo! Tutti noi vi ringraziamo perché ancora una volta una vita ha avuto la possibilità di venire alla luce.
Cordiali saluti.

La Presidente, Donatella Pedol.