Sotto il Campanile 6 Giugno 2021

Pubblicato giorno 4 giugno 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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II DOMENICA DOPO PENTECOSTE
06 giugno 2021 – Foglio n. 154
Solo Dio basta!

“Non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete, né per il corpo, di quello che indosserete. Il Padre vostro sa che ne avete bisogno” (Lc 12, 22.30). Sovente le nostre giornate scorrono sotto l’assillo di infinite preoccupazioni, che ci privano della serenità. Un’angoscia inutile, che non cambia il corso degli eventi. I discepoli di Gesù si preoccupano della giustizia, la pace, il perdono, la vita nuova, la riconciliazione, le relazioni fraterne fra gli uomini, così come Gesù ce le ha fatte conoscere nelle Beatitudini. Liberi da preoccupazioni sbagliate, lavorano con animo lieto per il bene del prossimo, senza angustiarsi per il domani. Sanno che ogni giorno l’amore di Dio li protegge, li accompagna, provvede il necessario. I pagani si affannano per il denaro e l’ansia del buio incombe come una minaccia. Il distacco dalle cose non conduce alla miseria, al contrario, produce felicità, perché il regno di Dio diventa la loro casa. Solo Dio basta!
Negli anni della giovinezza ho seguito la via tracciata da Charles De Foucauld. Ho letto con passione gli scritti e le meditazioni, dalle quali ho ricevuto molto. La ricerca di una vita il più possibile simile a quella di Gesù, la spiritualità dei piccoli fratelli mandati a portare la bontà di Dio tra la gente più povera, l’immagine di una Chiesa sobria, come la casa di semplici operai, un rifugio sempre aperto, dove tutto viene condiviso, continua ad affascinarmi e ispirarmi. Non mi piace il trionfalismo, l’ostentazione, la ricchezza, lo sfarzo, l’immagine, le prime pagine, la smania del potere, la corsa alle amicizie influenti e interessate. Credo nella parabola del seme nascosto nella terra, che porta molto frutto.

Andando in Terra Santa, la prima tappa che si fa è a Nazareth. La grande basilica, costruita sulla minuscola abitazione di Maria, è bellissima, moderna, splendente, adorna di arte, rivestita delle culture e delle civiltà di tanti popoli. Io, però, preferisco fermarmi a poche decine di metri in quello che era il Convento delle Clarisse, dove Charles de Foucauld trovò l’accoglienza nel marzo 1897, restandovi tre anni, vivendo in una baracca di legno e lavorando nell’orto. Lì con Maria scoprì il mistero di Cristo umile e povero. Scriveva: “Desidero seppellirmi fin da ora nella vita di Nazareth come Egli si seppellì per trent’anni … . Silenziosamente, nascostamente come Gesù a Nazareth, oscuramente come Lui, voglio passare sconosciuto sulla terra, come un viaggiatore nella notte, poveramente, laboriosamente, umilmente, dolcemente, facendo il bene come Lui …”. Parole che mi scaldano il cuore!
“Dio costruisce sul nulla. È con la sua morte che Gesù ha salvato il mondo, è con il niente degli apostoli che ha fondato la Chiesa, è con la santità e nel nulla dei mezzi umani che si conquista il cielo e la fede viene propagata”, queste riflessioni furono il programma Fratel Charles, prima a Nazareth, poi a Beni-Abbès (Algeria) e infine tra le montagne dell’Hoggar, a Tamanrasset. In quegli anni di deserto trascorreva la giornata tra la preghiera, lavoro manuale e accoglienza dei visitatori, “ai quali do orzo e datteri nella misura che mi riesce possibile”. Uno stile di vita vertiginoso!

La scelta radicale di vivere il Vangelo nacque il giorno della sua conversione, nell’ottobre 1886, a Parigi, sotto il porticato che introduce alla chiesa di Saint Augustin. L’abbé Huvelin, uomo di grande mitezza, al quale si era rivolto per avere informazioni sulla religione, gli chiese di confessarsi e comunicarsi. Fu una ispirazione dall’alto. Charles uscì dalla chiesa con un solo pensiero: “Non appena giunsi a credere che Dio esisteva, compresi che non potevo fare altro che vivere per lui”. Il confessionale di legno è ancora là a testimoniare il Mistero. Anni fa andai anch’io in pellegrinaggio in quella chiesa.

Charles cercò Gesù con tutto se stesso. Nella trappa, a Nazareth, in Africa. Un desiderio che lo divorava. Alla fine “si nascose” tra i Tuareg come Gesù a Nazareth. Li considerava i più poveri tra i poveri. Era l’unico sacerdote cristiano nel raggio di 400 chilometri. Viveva come uno di loro, condividendo la vita e quanto possedeva. Un fratello, un amico, un padre. Quando si ammalò gravemente, fu salvato dalla loro generosità. Divisero con lui il poco latte di capra che avevano, pur essendo in tempo di carestia. Allo scoppio della Grande Guerra nel 1914 fu costruito un fortino per proteggere la gente dai ribelli. Il 1 dicembre 1916 una banda di sbandati riuscì a entrare con l’inganno. Charles fu fatto prigioniero. All’improvviso si sparse la notizia che i militari stavano per arrivare. Preso dal panico, il quindicenne, addetto alla sua sorveglianza, fece partire un colpo, che lo ferì al cranio, uccidendolo all’istante. Lo seppellirono in fretta e furia, inginocchiato nel fossato, così come era morto. Aveva con sé un libriccino con queste parole: “Mi auguro di vivere come dovessi morire martire oggi”. Dopo qualche giorno, vicino al suo corpo fu trovata nella sabbia la custodia con l’Eucaristia. Una vita nascosta!

“Non sono qui per convertire in un sol colpo i Tuareg, ma per provare a capirli e a migliorarli. Sono certo che il buon Dio accoglierà in cielo quelli che furono buoni e onesti senza bisogno che essi siano cattolici romani. Ringrazio Dio di questa vita nascosta, così perduta, così simile a quella di Nazareth”. E io aggiungo: così simile a quella del piccolo seme che, caduto in terra, muore e porta molto frutto. Solo Dio basta!
Sta per iniziare l’Oratorio estivo, dove i ragazzi passeranno la maggior parte delle ore del giorno. Arrivano segnati da un tempo difficile. L’assenza della scuola in presenza, la brusca interruzione delle relazioni sociali, la perdita dei punti di riferimento, il lungo periodo di isolamento hanno prodotto disagio, ansia, fragilità, che aumentano con il passare del tempo. Il male interiore dell’anima sta divorando la vita di tanti adolescenti. L’estate è un tempo propizio per stare con loro, cercarli, ascoltarli con pazienza, comprenderli, leggere il loro animo, conoscerli senza giudicarli, restituire la fiducia, la speranza, la volontà di crescere come persone contente e desiderose di bene. “Sono il mio Gesù”, diceva Suor Maria Laura Mainetti, che oggi la Chiesa proclama Beata. “Fare casa” in oratorio, ritrovarsi insieme e con Gesù è una terapia formidabile, per rinascere e ricominciare. Non c’è cura senza cuore. “Si entra per pregare, si esce per amare”. È la storia del piccolo seme, che spacca la dura terra e appare alla luce del sole, invincibile, carico di promesse, nell’ardore di una giovinezza ritrovata.

don Franco Colombini