Sotto il Campanile 6 maggio

Pubblicato giorno 3 maggio 2018 - NOTIZIARIO

 

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Domenica VI di Pasqua
06 Maggio 2018 – Foglio n. 34
Si continua a morire per Gesù

“Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” (Gv, 15, ). Sembra incredibile, eppure su coloro, che testimoniano la fede in Gesù crocifisso e risorto, incombe il rischio della persecuzione. Gesù è stato ucciso, umiliato, condannato ingiustamente, esposto al pubblico disprezzo sul legno della croce. I primi discepoli furono imprigionati, massacrati tra atroci tormenti, costretti a fuggire di città in città e vivere nascosti nelle catacombe. Chi abbracciava il vangelo dell’amore era considerato un fuorilegge, nemico dello Stato. I martiri hanno innaffiato con il proprio sangue le origini della Chiesa. Questa è una storia che va avanti. Ancora oggi si continua a morire per Gesù.
Domenica 15 aprile in Pakistan uomini armati in motocicletta hanno sparato contro i fedeli che uscivano dalla chiesa, uccidendo due giovani di 28 e 19 anni, Azhzr Iqbal e Rahid Khalid, morti prima di arrivare in ospedale. Il commando aveva fatto irruzione nella zona esplodendo numerosi colpi. Altre dieci persone, tra cui due ragazzi di 11 e 13 anni, erano rimaste ferite. Teatro dell’attacco il quartiere di Essa Nagri, enclave cristiana in una città crocevia di etnie e di fedi, di tensioni e interessi. Il 2 aprile, il giorno dopo Pasqua, quattro membri di una stessa famiglia sono stati massacrati. La settimana precedente il Natale un agguato kamikaze provocò una strage, in cui morirono nove battezzati e una sessantina furono i feriti.

Il 4 novembre 2014 a Kot Radha Kishan, nella Provincia del Punjab, due giovani cristiani, il 26nne Shahzad Masih e la moglie 24nne Shama, sono stati accusati ingiustamente di aver gettato pagine del Corano durante le normali attività di pulizia della loro povera abitazione, situata dentro una fabbrica di mattoni, dove lavoravano in condizioni di semi-schiavitù. Furono aggrediti da centinaia di individui aizzati contro di loro, rinchiusi in un deposito per una notte, poi costretti a sfilare davanti alla folla inferocita e bruciati vivi in una fornace. Un delitto atroce, ancora più efferato per il fatto che la donna, già madre di quattro figli, era incinta di un quinto.

Straziante è il calvario di Asia Bibi, cattolica pakistana, incarcerata nell’estate 2009 e condannata a morte per blasfemia, la cui pena è in attesa della decisione finale della Corte Suprema. Al giudice, che le chiedeva di abbandonare la fede cristiana per aver salva la vita, rispose che preferiva morire da cristiana piuttosto che uscire dal carcere musulmana. “Sono stata condannata perché cristiana. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte, perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per lui”. Asia Bibi è sposata e mamma di cinque figli.
Drammatico è il bilancio di un agguato compiuto qualche giorno fa durante la celebrazione della Messa in una chiesa del villaggio di Mbalom, nello stato centrale nigeriano di Benue. Uomini armati hanno aperto il fuoco in chiesa, uccidendo 2 sacerdoti, Padre Joseph Gor e Padre Felix Tyolaha, e almeno 15 fedeli. Durante la fuga, il commando ha dato fuoco ad abitazioni e campi.
L’elenco dei martiri di oggi è interminabile. Si viene uccisi per Gesù. Si muore quando il suo messaggio di amore, che pone l’uomo prima di tutto, viene dimenticato. Anche nella cristiana Europa succede questo. Il piccolo Alfi, e prima di lui Charlie e Isaiah, ne sono un drammatico esempio. La determinazione ostinata con la quale la giustizia britannica si è “appropriata” della sorte di un bimbo, gravemente ammalato, suggerisce seri interrogativi e lascia senza parole. L’ultimo atto dei giudici nei confronti dei genitori di Alfie Evans aveva il sapore del sopruso, come se il piccolo fosse un oggetto sequestrabile con atto protocollato e non un figlio, il cui destino è nel cuore e nelle mani di chi l’ha generato e lo ama perdutamente. Sembra che il diritto oggi stia solo dalla parte di chi vuol morire come e quando desidera. E chi si oppone – madri e padri – deve essere messo a tacere e addirittura privato della potestà di portare il proprio figlio dove c’è chi può tentare una terapia alternativa o accompagnarlo al compimento della malattia tra le braccia dei genitori.

È insopportabile questa intromissione nella vita e nella morte, nella stessa relazione della madre e del padre col proprio figlio sofferente, da parte di uno Stato, che si attribuisce la capacità di sapere quale sia il confine oltre il quale una vita non è più meritevole di essere curata e si dà il potere di decidere quando va spenta. I poliziotti, che piantonavano la camera di Alfie per evitare che i genitori lo trasferissero in un altro ospedale o in Italia, sono l’icona di una incomprensione radicale e il segno di una civiltà giunta al tramonto. Ma il piccolo Alfie, il bambino più malato e fragile, che doveva morire in pochi istanti senza respiratore, lottò come un leone. Papa Francesco ha ascoltato e benedetto il suo ostinato respiro assieme al forte amore di papà Thomas e mamma Kate. Questi due giovani genitori di soli 20 anni – un imbianchino e un’estetista, due ragazzi del popolo, capaci di un istinto paterno e materno da fiere, decisi a tutto per difendere con la forza del cuore il loro nato – ricordano all’Europa orgogliosa e dotta cos’è un uomo e quanto infinitamente vale.

La rinascita parte da qui.

don Franco Colombini