Sotto il Campanile 7 aprile 2019

Pubblicato giorno 6 aprile 2019 - NOTIZIARIO

 

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Domenica V di Quaresima 07 Aprile 2019 –

Foglio n. 68

Io sono la resurrezione e la vita

La risurrezione di Lazzaro è l’ultimo segno prima della Pasqua.

È raccontata con ampiezza di particolari. Gesù dopo quattro giorni va da Lazzaro di sua iniziativa, con un atto di amicizia personale, che lo spinge ad affrontare un grave pericolo, del quale i discepoli avevano paura. Giunge a Betania, quando ormai non c’era più alcuna speranza. Nel dolore più profondo le sorelle, i familiari, gli amici si sono abituati alla sua assenza. Hanno l’animo triste. Non capiscono perché Gesù non sia andato a trovarlo, quando stava male. Una viva commozione prende lo stesso Gesù. Sa di essere di fronte al segno fondamentale della sua missione: la morte da restituire alla vita. Un tema decisivo per l’esistenza umana.

Nella narrazione mi stupisce la fusione mirabile tra la vita di tutti i giorni – la morte di un amico – e la percezione che in questa tragedia è presente il mistero di Dio, che salva. Egli trasforma le situazioni umane concrete in forza della sua amicizia, che non nasconde, ma rivela in maniera impressionante: mai nessun evangelista ha osato descrivere Gesù così legato a qualcuno, da rimanere scosso fino al punto di non trattenere le lacrime. Davanti a questa immagine grave, solenne, drammatica di Gesù, viene spontaneo lasciar scorrere in me il flusso della preghiera, perché anch’io sono amato così. Tornano alla mia mente situazioni insuperabili: la scomparsa improvvisa di grandi amici; la perdita dei figli o dei genitori in giovane età; la morte inaspettata del marito o della moglie, … .

Quanti funerali ho celebrato portando nel cuore la stessa inquietudine delle sorelle di Lazzaro:

“Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Gv 11, 21).

In quei momenti avrei voluto essere lontano, scappare, nascondermi, ma restavo come segno della fedeltà tenace e incondizionata di Dio, convinto che lì, nel dolore, nella sofferenza, nella morte Dio stava manifestando la sua gloria. Lui solo mi viene incontro insperatamente e gratuitamente, come amico, prendendo l’iniziativa: è il Verbo di Dio fatto uomo, che si muove verso di me per soccorrermi, elevarmi, purificarmi. Mi prende là dove sono e mi trasforma. Devo affidarmi alla sua potenza, lasciarmi interpellare, richiamare, trasformare da Lui in ciò che vuole dirmi e donarmi. Nello scontro con la morte incontro la vita, quella vera, che abbraccia, allevia, solleva. La risurrezione di Lazzaro mi dice che in Gesù tutti siamo chiamati alla vita e ci è data la possibilità di tirar fuori chiunque dalla morte con l’ amicizia e l’amore.

Lunedì 25 marzo Papa Francesco si è recato a Loreto, dove c’erano migliaia di giovani ad aspettarlo. La Santa Casa è angusta, semplice, a misura d’uomo, fatta con pietre ruvide che arrivarono da Nazareth. Nel silenzio delle sue pareti Dio ha compiuto le opere più straordinarie. Così deve essere ogni vita, costruita con poveri e semplici mattoni, per mostrare come “Cristo, nostra speranza, vive”.

Cose umili, nascoste, concrete, tanti piccoli passi. Quel 25 marzo di duemila anni fa Maria era giovane, fidanzata, e concepì nel grembo il proprio Figlio, da semplice promessa sposa, prima di andare a vivere insieme con Giuseppe sotto il tetto coniugale. Aveva nel cuore la redenzione del mondo. Non seppe resistere al Dio della vita che la voleva per sé. Con il suo sì ha cambiato la storia. Ha portato l’umanità nell’eternità e ha fatto incarnare nel tempo la divinità. Proprio quello che deve compiere ogni credente sulle note dell’Amore.

Tanta gente aspetta la resurrezione, il perdono, lo slancio verso le alte mete del bene. È una grazia raggiungere un fratello o una sorella con il cuore pieno di amicizia e di fiducia come quello di Gesù Mi hanno colpito in questi giorni le parole di Nesrim Abdullah, la portavoce delle unità combattenti curde femminili, un’ufficiale “donna”, che ha aspramente lottato ed ha visto passare la morte sotto i suoi occhi. Non ha esultato per la vittoria, ma ha manifestato viva preoccupazione per il destino di duemila bambini, figli delle donne del Daesh, che li hanno educati al mito della guerra santa e continueranno a farlo, anche dopo la resa di Baghuz, l’ultima roccaforte del califfato. Sono bambini addestrati a sacrificarsi in attentati suicidi, figli di ceceni, turchi, tunisini, francesi e anche italiani, raccolti con le mamme tra le rovine delle città devastate.

“Per noi, è come vedere un serpente crescere nel ventre di una madre”,disse preoccupata.

In lei non c’era odio per i figli del nemico, ma l’apprensione della madre, che si interroga sul domani delle sue creature. Dietro ogni guerra ci sono infinite altre guerre, che non si vincono con le armi e sono le più ardue, come la ricomposizione delle lacerazioni, l’ansia di vendetta da spegnere, la cura degli orfani, l’educazione della nuova generazione, l’unità da ritrovare, la buona volontà degli operatori di pace. La vittoria militare si raggiunge bombardando, piegando, annientando, distruggendo. La pace richiede anni di pazienza, di fatica, la fiducia nel prossimo, il perdono, la solidarietà, l’impegno per la giustizia sociale. Questa è la strada di chi sogna la civiltà dell’amore e ama la vita. La fratellanza e la bontà spingono via la morte e illuminano il mondo. Colui che ha affermato:

“Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me non morirà in eterno” (Gv 18, 25) sarà al nostro fianco e renderà possibile la speranza nascosta nei cuori: “Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete”. (Ez 37, 12-14).

don Franco Colombini