Sotto il Campanile 7 aprile 2024

Pubblicato giorno 6 aprile 2024 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

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II DOMENICA DI PASQUA
07 Aprile 2024 – Foglio n. 257
“Abbiamo visto il Signore!” (Gv 20, 25)

Dopo la morte di Gesù serpeggiava tanta paura. I discepoli stavano sprangati nel cenacolo “a porte chiuse” per timore dei Giudei. Due di loro se ne andarono delusi da Gerusalemme verso Emmaus. Pietro con qualche altro ritornò in Galilea a fare il pescatore. Tommaso, a fronte dell’entusiasmo di chi gli attestava di aver visto il Signore, non abbandonò le sue perplessità. Non era uno scettico, amante del dubbio, nemmeno un incredulo. Era un testardo che voleva vederci chiaro. Rimase nella comunità ad aspettare. E Gesù ritornò,
mostrando i segni della passione. Davanti all’evidenza del Crocifisso Risorto si buttò in ginocchio pronunciando parole di fede e di gioia profonda: “Mio Signore e mio Dio!”.
Gesù ci cerca senza stancarsi. Ci insegue nelle lontananze più remote del dubbio e del rifiuto. Ritorna. Si lascia vedere da chi ha il cuore aperto e lo sa attendere, sicuro che prima o dopo arriverà. Allora nulla sarà più come prima, ci si rimette in cammino, si ritorna nel mondo con il cuore gonfio di fiducia.
Ricominciare non è un movimento di massa. È un rischio che solo alcuni accettano di correre, facendo affidamento sul coraggio di pochi arditi, convinti che, pur dovendosi confrontare con gli enormi problemi della storia, vinceranno la loro scommessa. Molti, purtroppo, preferiscono fermarsi davanti alla tomba vuota, immobili in mille domande, pur di non affrontare le incognite di un futuro ancora sconosciuto. Il “prima” delle abitudini e delle comodità sembra essere una terra più sicura. Barattiamo persino i sogni più belli per un po’ di tranquillità.
La Maddalena, alcune donne, Tommaso, i discepoli di Emmaus, Pietro, i Dodici ci ricordano che c’è un piccolo resto che non si arrende, soffre la mancanza di novità più della fame. Non accetta di vivere in un mondo fatto di macerie, ingiustizie, sofferenze, prepotenze. Ricominciare parte da questi irriducibili, ai quali non si addice l’etichetta dell’uomo e della donna qualunque, intontiti dal troppo benessere, dal quieto vivere, dallo status quo, dalla seduzione del potere, dalla soddisfazione dei capricci. È una grande gioia camminare dietro le orme del Cristo Risorto, il grande Ricominciatore!

Lui sa far ripartire la storia, anche quando sembra non ne valga la pena. Ma stavolta si vola alto, non ci si ferma più, l’amore porta lontano, agli estremi confini della terra, là dove l’umanità attende ancora la lieta notizia che le strapperà il male dal cuore e la renderà libera e forte per realizzare un mondo fraterno.
Propongo il messaggio con il quale il nostro Arcivescovo Mons. Mario Delpini ha spronato le comunità cristiane nella Veglia Pasquale ad uscire dalla schiavitù della paura e della morte, per sconfiggere la disperazione e diffondere la gioia della Risurrezione (Avvenire 31 Marzo 2024, Lorenzo Rosoli).
SENZA GESÙ RISORTO NIENTE HA SENSO
“La risurrezione di Gesù è la verità più necessaria e urgente per vincere la disperazione, la rassegnazione, la tristezza che avvolge ogni cosa segnata dal destino di morte. Senza la risurrezione di Gesù niente ha senso, se non provvisoriamente; niente è bello, niente è buono, niente è promettente se non nella precarietà di una illusione”. Ma la risurrezione, “la verità più necessaria e urgente”, è anche “la verità più imbarazzante, la rivelazione più improbabile”, in particolare agli occhi e al cuore dell’umanità del nostro tempo, imbevuta di scetticismo, di razionalismo, di disperazione, che a volte sembrano contagiare anche i discepoli di Gesù.
Che fare, allora? “Non c’è altra via che quella della testimonianza”. Gesù “è risorto: io l’ho incontrato! È risorto: noi viviamo di lui e in lui!”, come dicono – con la vita e con le parole – i catecumeni che a Milano e nel mondo hanno ricevuto i sacramenti dell’Iniziazione cristiana nella notte di Pasqua. La notte della verità più necessaria. Ed è dal cuore di questa notte sublime – e dal cuore della Chiesa ambrosiana, il Duomo, e nella notte in cui si celebra una liturgia straordinaria per bellezza e ricchezza, la Veglia di Risurrezione – che l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, chiama ad ascoltare, accogliere, godere e testimoniare “la verità più necessaria e urgente”. Di questa verità tutto parla, tutto è canto, simbolo, trasparenza.
Fin dall’inizio della celebrazione, con l’accensione del cero. Quindi, ecco la ricca catechesi biblica delle nove letture che al centro offre e sprigiona l’annuncio “Cristo Signore è risorto!”, proclamato dall’Arcivescovo sull’altare, a rinnovare il messaggio apostolico. Sette i catecumeni – comunica la diocesi – che nel corso della Veglia in Duomo ricevono il Battesimo. In tutta la diocesi sono 83 (erano stati 74 nel 2023): e com’è festa per quei sette in Cattedrale, così è festa per tutti gli altri nelle parrocchie e nelle comunità pastorali in cui hanno ricevuto i sacramenti dell’Iniziazione cristiana. Le donne sono 56, gli uomini 27, l’età varia dai 15 ai 66 anni. Gli italiani sono 35, gli stranieri 48: di questi 22 sono europei, 15 sudamericani, otto africani e tre asiatici. Eccola, l’ambrosiana “Chiesa dalle genti”, che nella notte di Pasqua incontra “l’angelo di Dio che ordina: presto, andate a dire che è risorto!”, esclama Delpini. Sì, “la verità a proposito di Gesù è un messaggio urgente”, oggi come duemila anni fa, quando “l’angelo della risurrezione” mise “fretta alle donne” perché portassero ai discepoli “l’annuncio della risurrezione”. Ma già allora “la verità più necessaria si è rivelata” anche la più “imbarazzante” e “improbabile”. I discepoli non credettero alle donne. E oggi? Quanti dubbi, pregiudizi, scetticismo, fra la gente istruita come fra quella più semplice, annota Delpini. “Le persone aggiornate, informate, abituate ai discorsi scientifici – sottolinea in particolare l’Arcivescovo – ritengono improbabile, anzi impossibile la risurrezione di Gesù: contraddice la scienza,
l’esperienza. E l’interpretazione razionalistica dei Vangeli e della letteratura apostolica si impegna a ricondurre le vicende di Pasqua entro i limiti della ragionevolezza: sì, c’è scritto che è risorto, ma è un modo di dire. Sì, c’è scritto che è apparso vivo, è risorto, ma è un modo per confermare la bontà e verità del suo insegnamento. Sì, c’è scritto che è risorto, ma solo per dire in altro modo la conclusione delle favole: e vissero tutti felici e contenti”. Ecco: “la verità più necessaria” è “ la verità meno creduta”, commenta il presule. E “l’umanità sembra preferire restare schiava della paura della morte piuttosto che credere alla risurrezione di Gesù, primo dei risorti. L’umanità sembra preferire immaginarsi dentro un processo in cui nulla si crea e nulla si distrugge, perciò è saggio, e conforme alla scienza e all’esperienza, ritenere che siamo fatti di elementi che si compongono e poi si scompongono dentro la vicenda insensata dell’universo”. Addirittura “anche tra i discepoli s’è diffuso una specie di scetticismo:
e difatti non si trovano molti che obbediscono all’angelo e vanno in fretta ad annunciare la risurrezione. Si radunano con i vestiti della festa, celebrano belle liturgie e pregano con belle preghiere e canti raffinati. Ma poi escono di chiesa con calma e senza una parola da dire per sconfiggere la disperazione e diffondere la gioia della Pasqua”. Che fare, dunque, per obbedire al comando dell’angelo? “Non c’è altra via che quella della testimonianza. È risorto: io l’ho incontrato! È risorto: noi viviamo di lui e in lui!”, scandisce l’Arcivescovo. Che addita poi quanti ricevono nella notte i sacramenti dell’Iniziazione cristiana. “I neofiti e coloro che li accolgono, li ammirano e confermano con la loro professione di fede la certezza della risurrezione sono un segno per tutti, hanno una parola necessaria da dire a tutti: Gesù è risorto, l’ho incontrato: di lì viene la mia gioia. Gesù è risorto, io l’ho incontrato: perciò invoco lo Spirito Santo, per essere testimone della speranza, per essere seminatore di fiducia”.

don Franco Colombini