Sotto il Campanile 7 Novembre 2021

Pubblicato giorno 5 novembre 2021 - NOTIZIARIO

 

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Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo
07 Novembre 2021 – Foglio n. 158
Giornata Mondiale dei Poveri e Giornata Caritas

“Ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23, 42). È la supplica accorata di un ladro sulla croce ad un altro condannato come lui. Mi viene difficile intuire che cosa abbia visto di straordinario in Gesù. Mentre la morte avanzava inesorabile tra urla, disprezzo, bestemmie, odio, nel suo cuore nasceva la fede in Colui che aveva scelto di amare fino alla fine. Si è sentito afferrato da Dio. Come in un vortice. Credette. Si consegnò all’Amore sicuro di ritrovarsi nella vita. La morte di Gesù è la porta di ingresso nel regno di Dio. È un regno speciale, dove “il più grande è il più piccolo e chi governa come colui che serve” (Lc 22, 24-27). Le provocazioni volgari della folla e dei capi mostrano la totale incomprensione e la mancanza di umanità di chi deteneva il potere. Ma il suo piano non poteva essere fermato. Dio continua ad amarci e semina nei cuori, nonostante le chiusure di chi pone la fiducia nella forza, nell’inganno, nel denaro.
L’amore manifesta la sua potenza trasformando la qualità ordinaria della vita. Fa nascere l’attenzione, la stima, la cura, il servizio vicendevole, la bontà, la comprensione, il perdono, la fiducia, il sorriso accogliente, la condivisione, la solidarietà. Un mondo nuovo e fraterno. Anche le situazioni più tragiche e disperate della storia vengono attraversate da raggi di luce, che annunciano l’alba e la vittoria del suo “regno”. “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce” (L. Cohen). È quella dei santi, più bella e abbagliante che mai.
In questa giornata dedicata alla Carità mi viene alla mente la figura di Padre Damiano de Veuster, l’apostolo dei lebbrosi. Il suo esempio affascinò e lasciò un segno indelebile nella mia vita di adolescente. Scelse di “seppellirsi” a Molokai, “l’isola maledetta”, il ghetto dei lebbrosi, dove si andava solo per morire, consapevole che da lì non avrebbe più fatto ritorno. Si rimboccò le maniche e fece di tutto per rendere la vita, ridotta all’estremo degrado, degna di essere vissuta. Costruì case, la scuola, un ospedale, una chiesa per pregare, piangere, affidarsi, trovare pace. Si improvvisò medico e infermiere, incurante dei rischi che correva, e in quella “colonia della morte” portò la luce dell’amore. La lebbra lo colpì a 49 anni. Morì lebbroso tra i lebbrosi, in tutto simile a coloro ai quali aveva dedicato la vita.

“I poveri li avete sempre con voi” (Mc 14, 7), disse Gesù. Gli occhi del cuore me li fanno apparire davanti con una voglia matta di spendermi per la loro felicità. Con flebile voce mi urlano dentro: “Ricordati di me!”. Qualche giorno fa una foto di giornale mi costrinse a fermarmi sul dramma del popolo siriano. Ritrae un padre mutilato di una gamba, in piedi su una stampella, mentre gioca con il suo bambino di cinque anni, nato senza arti inferiori e superiori per una malformazione, causata dall’assunzione di farmaci da parte della madre, colpita dai gas nervino. Sorridono felici. La guerra sembra lontana. Ma c’è e continua a mietere vittime. Il papà perse la gamba, perché una bomba, scagliata da un aereo del regime di Damasco, cadde sul mercato di Idlib, esplodendo poco lontano da dove si trovava con la moglie incinta. Questa immagine, come quella del piccolo Alan Kurdi, disteso senza vita sulla spiaggia vicino a Bodrum, non avrà la forza di cambiare la storia. Ma mi impongono di provarci. Quei sorrisi sono una speranza che non posso tradire.
Erano otto fratellini, dagli otto anni ai diciotto mesi, nati uno in fila all’altro, come accadeva anni fa nelle nostre campagne lombarde. Li hanno trovati in casa, rannicchiati a terra, abbracciati, morti di fame. L’arrivo dei talebani a Kabul, gli arresti, le fughe, le vendette, … tante esistenze sconvolte. Il padre un giorno non fece più ritorno a casa e della madre, malata di cuore e ricoverata, si persero le tracce. Una strage senza bombe. Le testimonianze, incerte, raccontano che per un po’ i vicini se ne sono occupati, poi la situazione è precipitata – per la miseria o la paura delle ritorsioni – e la pietà è diventata introvabile come il pane da dividere. Un popolo abbandonato, sul quale i grandi del Pianeta discutono, mentre essi muoiono.

I poveri sono ovunque, dispersi, nascosti nelle pieghe del proprio pudore e nella ipocrisia di chi fa finta di non vederli. Sono le terre devastate dalle guerra, inaridite dalla fame, assetate dell’acqua che manca o si perde nello spreco, consumate dal cemento e dall’incuria. Sono il lavoro che manca, quello dequalificato, sfruttato, mal pagato, che uccide nelle fabbriche e nei cantieri insicuri, nei campi della nuova schiavitù, dove la carne umana, sopravissuta al mare, viene comprata e venduta a pochi euro. Sono la politica logorata dalla corruzione e dall’incompetenza, dai litigi e dalle corse al potere. È lecito sperare l’impossibile. I sogni dell’umanità non sono castelli di sabbia dimenticati sulla spiaggia della fanciullezza, quando si costruiscono sul bello, il giusto, il vero per ciascun essere umano. La Politica, se è sincera, è la “più alta opera di carità”.
Presto sarà Natale. Ai mercati rionali si vendono già le tovaglie rosse e le bacche di agrifoglio. I piccoli pensano ai giocattoli e lo confidano a Babbo Natale scrivendo le prime letterine. La parola di Gesù apre il cuore alle dimensioni del mondo e ci porta lontano sull’intera umanità. Tanta gente raccoglie e mangia le briciole del pane. Come i passeri. Sono i bambini di Kabul, dei campi profughi, delle nostre periferie, dove i genitori fanno debiti per comperare i libri di scuola. “Non possiamo attendere che bussino alla nostra porta, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di assistenza, per le strade e negli angoli bui, dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di accoglienza” (Papa Francesco). Il vero povero è colui che non ha mai conosciuto la gioia di amare.

don Franco Colombini