Sotto il Campanile 8 aprile

Pubblicato giorno 7 aprile 2018 - NOTIZIARIO

 

 

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Domenica II di Pasqua
08 Aprile 2018 – Foglio n. 30
Mio Signore e mio Dio!

Pietro e Giovanni, “persone semplici e senza istruzione”, stupiscono i capi e gli anziani del popolo.

Alle porte del Tempio avevano guarito un infermo nel nome di Gesù Cristo Risorto. Ed ora dichiarano che “Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo.

In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4, 11-12).

La missione della Chiesa è far vivere l’uomo, restituirlo alla gioia di un nuovo futuro, libero dal male e da tutto ciò che offende la sua dignità. Con Gesù è possibile. Lui è il destino del mondo. A questo annuncio molti rimangono increduli, perplessi, indifferenti, quando non sorridono per l’ingenuità delle parole. Fu così anche per Tommaso. Ma intanto la terra continua ancora oggi a morire sotto le incrostazioni del potere, le corruzioni, il peso delle ingiustizie, la violenza.
La sera di Pasqua Tommaso era assente, non partecipò con gli altri discepoli alla gioia di vedere il Signore Risorto e di ricevere in dono lo Spirito Santo, che li abilitava ad essere operatori di misericordia. Otto giorni dopo, Gesù ritornò nel Cenacolo, parlò con Tommaso, gli mostrò i “segni dei chiodi”. Guarito dalla sua incredulità, la gioia fu piena ed esclamò commosso:

“Mio Signore e mio Dio!”. Una delle più belle professioni di fede. Noi non abbiamo la sua fortuna, ma possiamo fare la stessa esperienza di vedere il Signore nel “segno dei chiodi”, che la Chiesa, il Corpo di Gesù, porta in sé. Sono i segni della carità, della misericordia, dell’amore più grande, del martirio.

Sono tanti coloro che nelle periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo manifestano la “parresia”, il coraggio di osare e testimoniare la fede.
Imprigionati, scorticati, sgozzati, decapitati, bruciati nelle loro terre devastate dalla persecuzione, non si lasciano intimidire. Rimangono, confidando in Dio. E se la domanda fondamentale che ci interpella è quella riguardante il senso, il significato del martirio e delle persecuzioni, chi soffre violenza, con il suo esempio, ci aiuta a cogliere un mistero che ci sovrasta, quello dell’ultima beatitudine, scritta nel Libro dell’Apocalisse:

“Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (14, 13). I martiri, i perseguitati per la fede e la giustizia ci testimoniano una morte, pienezza di vita per il mondo, che attende la redenzione per essere salvato. I “segni dei chiodi” nelle loro carni martoriate sono la presenza del Risorto, che ci viene incontro con la vita che sfida la morte e la vince con l’amore.

Non posso tacere la vicenda della giovane mamma nigeriana di 31 anni, incinta, malata di tumore, respinta alla frontiera francese. Veniva dall’Africa. Aveva un bambino di pochi mesi, che le cresceva in grembo e, dentro, oltre al bambino, un nemico, un grave linfoma, un tumore. La vita e la morte convivevano insieme. Ma lei, che immaginiamo ostinata, forte di speranza e di disperazione, non si arrese. Arrivata in Piemonte, si decise per la traversata delle Alpi, in quei giorni di fredda primavera, di neve, di Burian che soffiava, lassù, gelido e ostile. Voleva andare in Francia, dove sarebbe nato il suo bambino e, forse, l’avrebbero anche curata. Invece il rifiuto fu secco. Non era in regola con le carte. Respinta. Soccorsa dai volontari, è stata portata all’ospedale Sant’Anna di Torino. Ha partorito il suo bambino prematuro, piccolissimo, con il cesareo, e poi è morta. Pesava solo 700 grammi, ma era vivo. Un miracolo, compiuto dalle mani accoglienti e dal cuore buono di chi ha deciso di porre la propria vita al servizio degli ultimi. Ecco il volto più bello della Chiesa e dell’umanità rinnovata dall’Amore. E un giorno questo bambino racconterà della sua mamma coraggiosa, partita per miseria dal cuore dell’Africa, che, traversando il deserto, l’ha concepito, e poi … il grande viaggio fra le onde, madre e figlio, stretti insieme, verso la vita! Mi viene facile ricordare le parole di Isaia:

“Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo del dolore che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Per le sue piaghe siamo stati guariti. … Vedrà una discendenza, vivrà a lungo.”( 53, 3.5.10). Nel corpo sofferente, umiliato, respinto di questa donna, con i “segni dei chiodi”, è esplosa la vita, come in Gesù. Nell’umile servizio di uomini e donne, che in silenzio, si prendono cura dei poveri, prende carne la tenerezza di Dio, che vince il male del mondo con l’amore. “Ora anch’io ti vedo, Signore! E con Tommaso, chino ai tuoi piedi, davanti a questi uomini e donne, ti dico: Mio Signore e mio Dio!”

don Franco Colombini