Sotto il Campanile 8 maggio 2022

Pubblicato giorno 6 maggio 2022 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

 

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IV Domenica di Pasqua

08 Maggio 2022 – Foglio n. 184

“Sono pronto a morire per il nome del Signore Gesù” (At 21, 13) “

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12). Il testamento di Gesù non ha bisogno di essere commentato. Parla da solo. I suoi amici si vogliono bene. Vivono nella gioia. Annunciano la lieta novella di Colui che ha sbalzato via la pietra dal sepolcro ed è tornato alla vita. Pregano insieme e celebrano i Santi Misteri. Si prendono cura gli uni degli altri. Sono attenti ai poveri. Portano nel cuore l’assillo di una volontà che brucia dalla voglia di “farsi tutto a tutti” (1 Cor 9,22b). Desiderano comunicare una pienezza umana che rende straordinaria la vita e la fanno libera. “Permangono nel suo amore” e lo testimoniano con la spontaneità di un padre, una madre, un amico sincero. Oggi la Chiesa prega per le vocazioni, perché i preti siano così, come don Mario Ciceri, sacerdote ambrosiano, proclamato beato sabato 30 aprile nel Duomo di Milano. Nacque l’8 settembre 1900 a Veduggio, un paesino adagiato sulle verdi colline della Brianza. Quarto di sei figli, fin da piccolo imparò ad amare Dio e la Chiesa dai genitori Luigi Ciceri e Colomba Vimercati.

Giovanissimo entrò nei seminari diocesani. Fu ordinato sacerdote dal Cardinale Eugenio Tosi il 4 giugno 1924. Il 29 giugno dello stesso anno arrivò a Sulbiate come prete novello, la sua prima e unica destinazione, tra gente povera e contadina, e vi rimase fino al tragico incidente del 9 febbraio 1945. Mentre di sera tornava a casa in bicicletta da Verderio Inferiore, dove era stato a confessare, fu investito da un carretto. Il conducente non si fermò a soccorrerlo e don Mario fu trovato ore dopo in gravissime condizioni. Ricoverato all’ospedale di Vimercate, sopportò due mesi di atroci sofferenze.

Morì il 4 aprile 1945, offrendo la propria vita per la fine della guerra, il ritorno dei soldati, la conversione dei peccatori. Fu un pastore in mezzo al suo gregge, uomo di preghiera, con una fede incrollabile in Gesù e nella Madonna. A prima vista sembrava un “pretino comune”, insignificante: alto, magro, con occhiali da pochi soldi, la tonaca sgualcita, le scarpe consumate, una vecchia bicicletta. Bastava avvicinarlo e ascoltare le sue parole, perché si aprisse un nuovo orizzonte ed esserne incuriositi e attratti. La celebrazione delle Messe, l’amministrazione dei Sacramenti, le omelie, gli incontri per il catechismo e l’Azione Cattolica, gli esercizi spirituali, la cura dei seminaristi svelavano un altro mondo che parlava di Dio, della Madonna, dei Santi, di amore e speranza. Dedicava molto tempo al sacramento della Confessione. Lo considerava un momento speciale per aprirsi a Dio, sperimentare sua tenerezza di Padre, disponibile al perdono e alla misericordia. Mentre ascoltava, dispensava comprensione, conforto, consigli, “ricostituenti spirituali”, aiuti materiali con una guida sapiente, discreta, umile, attenta. La sua passione era l’oratorio, dove allenava i giovani alla virtù, al bene, all’apostolato, alla solidarietà. Li seguiva ad uno ad uno, organizzando incontri ed esercizi spirituali. Li mandava di sovente alla Villa Sacro Cuore di Triuggio, perché crescessero alla scuola di Gesù e maturassero una scelta consapevole di vita cristiana. Negli anni difficili della guerra fu vicino ai suoi ragazzi al fronte. Li raggiungeva con lettere di amicizia, di sostegno, di incoraggiamento. Aveva una preferenza speciale per i poveri e gli ultimi. Erano il gregge che più amava. Si fece prossimo in ogni momento. Non risparmiò alcuna fatica per assistere gli ammalati, gli anziani, i perseguitati. Viveva in povertà e sobrietà. Mangiava solo latte, polenta, pane, frutta. Carne mai. Non beveva vino né caffè. Si dissetava con l’acqua del rubinetto. Donava tutto ciò che aveva e riceveva in regalo. Durante la guerra, dopo l’8 settembre, creò una fitta rete di assistenza e di collaborazione. Nottetempo, sfidando i controlli del regime, accompagnava in bicicletta i fuggiaschi in Val Chiavenna al confine con la Svizzera. Per questa estrema dedizione il Cardinale Martini gli conferì la Medaglia d’Oro alla Resistenza. Condivise con umiltà e riservatezza ogni talento, mettendoli al servizio degli altri. Istituì la Messa dello scolaro, che celebrava ogni mattina prima dell’inizio delle lezioni. Radunò quattro compagnie teatrali. Organizzò corsi di musica e di canto. Suonava diversi strumenti, tra cui l’organo.

Fondò la Schola Cantorum. Scrisse parecchi spartiti musicali per le Messe e le ricorrenze liturgiche. Si improvvisò muratore, elettricista, imbianchino, falegname. Con l’aiuto dei giovani costruì una grotta simile a quella di Lourdes. Don Mario non è mai uscito dal cuore della gente. Dopo la morte, le persone, che lo avevano conosciuto e incontrato, trasmisero alle generazioni successive il ricordo di un prete ricco di fede e di umanità, con un di più, segno di qualcosa che andava “oltre” la normalità. Disse di lui il Cardinale Martini: “Il suo appassionato amore a Gesù e al Vangelo l’ha portato a dedicarsi instancabilmente ed eroicamente a tutti e a ciascuno: ai malati, ai poveri, ai carcerati, ai soldati e ai partigiani, come ai seminaristi, ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, agli adulti e agli anziani”. È stato un testimone esemplare di Cristo, un pastore secondo il cuore di Dio, un diffusore tenace della buona novella, un apostolo infaticabile degli ultimi, un ascoltatore attento e prezioso delle sofferenze e dei bisogni umani, un punto di riferimento per chiunque si sentisse confuso, incerto, impaurito e senza speranza. Come dice la sua gente: un santo è passato in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo.

don Franco Colombini