Sotto il Campanile 8 marzo 2020

Pubblicato giorno 7 marzo 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

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Domenica II di Quaresima
08 Marzo 2020 – Foglio n. 103
Signore, dammi di quest’acqua!

Il Vangelo della Samaritana illumina da sempre il mio cammino spirituale. Al pozzo di Sicar Gesù, assetato e stanco per il viaggio, si trovò davanti una donna infelice, triste, sola, disprezzata. “Provò compassione”. Sentì il bisogno di condurla alle radici di se stessa, nella parte più intima del cuore, potarle via il male che la soffocava, restituirle la gioia di vivere. La strada si presentava difficile, frustrante, inquinata da pregiudizi, senza speranza, priva di interesse. Gesù non si arrese. Sciolse ogni obiezione, iniziando con una richiesta: “Dammi da bere!” (Gv 4, 7), e il dialogo si compì, rivelandoci il vero modo di “servire il Padre in spirito e verità” (Gv 4, 23). Nessuno deve andare perduto! Questa è la sua volontà.
Mi sono chiesto qual è il messaggio per me oggi.
Nella mia esperienza mi sono accorto che è sempre Dio a prendere l’iniziativa, a venirmi incontro. Mi aspetta negli svincoli più impensati dell’esistenza, mi chiede uno sforzo, un impegno, una preghiera, un atto di fiducia, un po’ di pazienza, per parlarmi, donarmi i suoi doni, riempirmi di Spirito, manifestarmi il suo volere, portarmi dove mai avrei pensato di arrivare. L’incontro con Dio è decisivo, fondamentale, quotidiano, da far esclamare: “Dammi di quest’acqua perché non abbia più sete in eterno!” (Gv 4, 15).
L’ho ripetuto infinite volte in questi giorni di incertezza, timore, inquietudine. Il nostro quotidiano è stato investito, con durezza, da una pandemia, che tutti ci chiediamo come poter affrontare e limitare, per uscirne vincitori o, quanto meno, ammaccati al minimo. Medici, infermieri, volontari si trovano in prima linea, correndo il pericolo del contagio, sottoposti a turni massacranti di lavoro. Chi deve vigilare e predisporre cordoni e misure contenitive sta all’erta ventiquattro ore su ventiquattro. Alcune località sono state isolate e appaiono spettrali. Ragazze e ragazzi devono rimanere a casa da scuola, soffocando l’allegria e la spensieratezza degli anni giovanili. Agli anziani over 65 si raccomanda di non uscire di casa. Chiuse le università, le biblioteche, i musei, i luoghi dello svago e dello sport. Sospesi i campionati di calcio, le manifestazioni ludiche, il carnevale. Metropolitane vuote, treni senza passeggeri, strade deserte.
In queste ore di grave preoccupazione dico la Messa a porte chiuse con don Emiliano, senza concorso di popolo. Per la prima volta in 46 anni di sacerdozio domenica scorsa non ho celebrato l’Eucaristia con la comunità, ma anch’io ho ascoltato quella di Mons. Delpini in casa di Caterina e Roberto.

Nella mia coscienza di credente mi sono rivolto tante volte a Dio gridando: “Abba! Padre!”. Ho
riletto la prima pagina della Sacra Scrittura: “In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra
era informe e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gen 1, 1).
La Parola di Dio mi ha ridato la speranza e la serenità. La vita non viene dal nulla o da noi stessi.
Nasce dall’amore di un Padre, che ci chiama per nome, ci plasma con la fantasia di un artista,
ci fa belli e ci colloca nel mondo per essere felici. Il suo amore è eterno, non viene mai meno,
è perenne vitalità creativa, “aleggia” come l’aquila madre sul nido dei suoi piccoli: li protegge, li
nutre. Anche oggi.

Ho ritrovato lo sguardo dell’Altissimo su noi creature, che in questo momento gemiamo e facciamo
fatica a riconoscere il suo progetto d’amore, perché colpite dalla violenza della pandemia. Mi
sono state di conforto le parole dell’Arcivescovo Mons. Delpini: “Invoco la benedizione di Dio su
questa nostra terra e su tutte le terre del pianeta. … La benedizione di Dio è una dichiarazione
di alleanza: Dio è alleato del bene, è alleato di chi fa il bene”. Dio non ci abbandona. Dio non ci
lascia soli. Dio ci conduce a un nuovo cielo e una nuova terra, “dove scorre latte e miele” (Es 3,
8). Ora, proprio ora, ci è richiesto un risveglio, un sussulto profondo, una solidarietà, che permei
il tempo e attraversi lo spazio. Un grido che salga al Padre e laceri la coscienza. Una preghiera
corale, che abbracci tutti, ci faccia sentire più umani e fratelli.

Ho pensato alle malattie e alle tragedie che colpiscono tanti Paesi. Purtroppo, per la loro distanza
geografica, non ci disturbano molto e ci lasciano indifferenti. La sete che tormenta popolazioni
intere. Le cavallette che invadono i territori e distruggono i raccolti, causando carestia, fame,
miseria. L’avidità dei governi, che per la ragion di stato scatenano guerre, massacri, sterminio di
popolazioni innocenti. Il clima in accelerato cambiamento per la mano perversa dell’uomo. Gli atti
compiuti in nome di un’economia, che guarda esclusivamente al profitto, al guadagno, lasciando
che siano i poveri a pagare il conto con le difficoltà dell’esistenza, con le fughe dalla propria terra,
con la morte certa.

Di fronte a ciò che ci minaccia, scopriamo di essere fragili, legati gli uni gli altri nel bene e nel
male. Abbiamo potuto constatarlo con drammatica evidenza in questi giorni: il contagio si diffonde
da persona a persona. Attraverso un bacio, una stretta di mano, un abbraccio. O condividendo
una sala d’attesa, il sedile di in treno, un bicchiere d’acqua al bar, una preghiera nella stessa
chiesa. La solidarietà è il fondamento della vita sociale. Si esprime nell’empatia, che sorge spontanea,
quando vediamo un altro essere umano in difficoltà. E’ per questa virtù che gli uomini non
abbandonano i deboli e i malati, ma se ne prendono cura. Qualche volta fino al punto di correre
rischi personali e lasciarci la vita, come ci ha insegnato Gesù: “Nessuno ha un amore più grande
di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13).
Non c’è nulla di più efficace per superare sentimenti di rifiuto e di ostilità che “mettersi nelle
scarpe degli altri”. Nella società del rischio, in queste settimane di “quarantena” per un minuscolo
virus, ricordarsi che siamo deboli, fragili è il presupposto per camminare solidali e forti verso il
futuro.

don Franco Colombini