Sotto il Campanile 8 novembre

Pubblicato giorno 5 novembre 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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 Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
08 Novembre 2020 – Foglio n. 124
Giornata Mondiale dei Poveri e della Caritas

“Sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità” (Gv 18, 37)
“Il compito più importante della Piccola Casa è la preghiera”. Questa parola del Cottolengo, sentita tanto tempo fa, mi è rimasta dentro. Mi fa intravvedere la sorgente dell’amore verso i poveri, ai quali il santo della carità si è dedicato anima e corpo nella Torino del 1800. Obbedendo al suo invito, passai l’estate a meditare i Libri Sapienziali con il metodo della lectio divina e soffermandomi in particolare sul Siracide. Camminavo in montagna ripetendo i Proverbi, cercando Dio ed elevando il mio spirito in Lui. Un giorno, seduto sulle pietre sotto una croce di ferro, con lo sguardo fisso in alto alla volta del cielo, azzurro di una bellezza sublime, feci un’esperienza straordinaria. Sentii la felicità inondare la mia anima, mentre il mondo esterno mi appariva stupendo, meraviglioso. Alberi, erbe, animali, terra, aria luce, tutto sembrava dirmi che essi esistono per me, erano lì in quel momento per attestarmi il grande amore del Padre. Fu bello conversare con le creature e parlare di Dio! Il mio cuore riceveva gioia, calore.

La preghiera fu la mia consolazione in quelle settimane di agosto e non cessò di confortarmi. Mai conobbi la noia. Quando ritornavo tra la gente, mi sembrava che tutti si fossero messi a volermi bene, a trattarmi con bontà. Vedevo solo sguardi di tenerezza e attenzione. L’aridità lasciava il posto ad un amore sconfinato. Ogni persona mi diventava cara, familiare. Forse per questo gli incontri sono stati come affluenti che si uniscono a formare l’unico grande fiume della carità, dell’amicizia vera, dell’affetto sincero e santo, che testimonia la verità del Vangelo: “Non c’è amore più grande di chi per gli amici dà la propria vita”( Gv 15, 13). Compresi la parola di Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18, 36). Si realizza nei cuori. La sua presenza è la forza che costruisce la città degli uomini, la rende salda e sicura: “Il fratello aiutato dal fratello è come una città alta e forte” (Prov 18, 19).

Proprio dal Siracide Papa Francesco ha preso il tema del messaggio per la Giornata Mondiale dei Poveri: “Tendi la tua mano al povero” (Sir 7, 32). Un libro antico, ma quanto mai attuale per la saggezza che racchiude. Il suo autore “andava in cerca della sapienza che rende gli uomini migliori e capaci di scrutare a fondo le vicende della vita. Lo faceva in un momento di dura prova per il popolo d’Israele, un tempo di dolore, lutto e miseria. … Essendo un uomo di grande fede, radicato nelle tradizioni dei padri, il suo primo pensiero fu di rivolgersi a Dio per chiedere a lui il dono della sapienza.  E il Signore non gli fece mancare il suo aiuto”. Anche oggi lo Spirito non ci lascia soli. Ci spinge “ad accogliere la compagnia di Cristo nell’esistenza quotidiana”. Sono le membra sofferenti e fragili di chi vive con fatica ai margini della società, in attesa che qualche briciola cada dalla tavola dei ricchi. Tante sono le mani di chi lavora in silenzio per dare dignità, sollievo, sorriso a coloro che hanno ricevuto poco o nulla dalla vita. Si espropriano dei propri beni. Vivono per i poveri, gli ammalati. Anche il mondo “laico” riconosce l’opera immensa che le Caritas realizzano ad ogni latitudine. Veri miracoli d’amore, soprattutto in questo tempo di emergenza! È il Regno di Dio che viene con potenza grande.

Due mesi fa mi ha scosso la notizia della morte di don Roberto Malgesini, ucciso mentre si apprestava a cominciare la giornata a servizio dei poveri. Un prete come me. Un santo della porta accanto per la semplicità, l’aiuto fraterno e solidale, l’amorevolezza con cui è andato incontro a tutti, la stima che ha ricevuto dalla gente. Ha dedicato la vita agli ultimi, alle persone in difficoltà, aiutato da giovani volontari, che portavano la colazione, i pasti caldi, le coperte ai senzatetto. É “caduto” sul campo, come gli eroi che illuminano la storia. L’amore non fa distinzioni, evita giudizi e condanne, non considera l’origine di chi ha bisogno, ma solo il suo bene. Un esempio da seguire. Traccia la strada del Regno. E se non sempre è possibile fare come lui, tutti – comprese le istituzioni religiose, civili, statali – possono essere più vicini ai deboli e ascoltare la voce dei poveri, che chiede risposte.

Le Caritas denunciano in questi tempi l’aprirsi di voragini pericolose, nelle quali stiamo precipitando. Le questioni sociali non sono sparite con il Covid. Tutto si è moltiplicato per cento e per mille. Agli “ultimi tra gli ultimi” si sono aggiunti gli impoveriti della scorsa primavera, non ancora del tutto ristabiliti, e coloro che vedono avvicinarsi il buco nero della “vergogna” per affitti, bollette, spese insostenibili. È crudo dirlo, l’abisso tende ad ampliarsi, sguarnito da ogni protezione. Don Roberto, i volontari Caritas e tanti altri – come il giovane Willy morto per difendere un amico – sono germogli che annunciano la nascita di una nuova fratellanza e chiedono una mano perché nessuno rimanga ai margini dimenticato.

In questi giorni i numeri drammatici dei contagiati, dei morti, dei ricoverati mi colpiscono a raffica nell’attesa di un inversione di tendenza che non c’è. Sono nomi, volti, storie di amici, parrocchiani, persone che conosco, a cui voglio bene. Dovunque è un rosario di cifre, una overdose mediatica, che non sempre mi giova. Mi sforzo di reggere all’urto di questo disastro globale in silenzio, con la compassione, la preghiera, la vicinanza, la carità. Tra gli impegni affannosi del quotidiano cerco di scorgere e fissare lo sguardo su qualcosa di bello, come le foglie d’oro puro degli alberi quando, dopo la nebbia di questi giorni, il cielo si è fatto di un incredibile blu. La campagna, un balcone, i ciclamini ai davanzali, il disegno di un bambino, il messaggio di un amico, la voce di un anziano, la chiamata di un malato in ospedale o in quarantena, la gioia dei fidanzati, l’attesa di chi sta diventando mamma e papà, l’entusiasmo di un giovane per il Vangelo, … . Ho bisogno di un punto di bellezza su cui fare forza, respirare la vita, vivere nella luce del giorno, scorgere i segni del Regno (Lc 17,21), per perseverare con fiducia e serenità.

Il 1 luglio 1942 la giovane ebrea Etty Hilleum, prossima alla deportazione, scriveva nel suo Diario ad Amsterdam: “Oh sì, il gelsomino! Com’è possibile, mio Dio, è intrappolato tra il muro scrosticciato dei vicini e il garage. … Eppure in mezzo a tutto quel grigiore e a quel fango, è così splendente, così esuberante e così fragile!”. La guerra mondiale, l’Olocausto, l’odio razziale, i campi di sterminio, la Shoa erano tragedie più cupe di questo terribile 2020. Ma c’era un gelsomino candido in un cortile grigio e c’era una ragazza che aveva gli occhi per vederlo.

don Franco Colombini