Sotto il Campanile 9 Dicembre 2018

Pubblicato giorno 8 dicembre 2018 - NOTIZIARIO

 

 

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IV Domenica di Avvento
09 Dicembre 2018 – Foglio n. 51
In quel giorno il germoglio del Signore crescerà

“Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli” (Lc 19, 38). Così la gente di Gerusalemme applaudiva Gesù, quando entrò nella Città Santa all’inizio della settimana di passione. C’era gioia, esaltazione, euforia. Sembrava l’inizio di una nuova era, l’avverarsi del sogno di Isaia: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo” (Is 2, 4). Quel giorno soffiava forte il vento della pace.
Non tutti, però, erano contenti. Il potere tramava nell’ombra costruendo inganni e tradimenti. Gesù lo sapeva e decise di andare fino in fondo. “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9, 51). Non lasciò l’uomo abbandonato a se stesso. Andò incontro al male, combattendolo con l’amore.

Quando si ama, niente è impossibile. Si tenta ogni cosa. Gesù si fece uomo, “povero”. Rifiutò tutto ciò che poteva renderlo forte di fronte a Dio, nessun sostegno, né potere, né sicurezza, se non l’impegno e il proprio sacrificio del cuore. Mise da parte tutto, anche la sua origine: “Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma annientò se stesso” (Fil 2, 6-7). Satana cercò di impedire questa povertà radicale tentandolo nel deserto. Voleva un Gesù “forte”, temeva l’abbassarsi di Dio – senza compromessi – al di sotto di sé. L’impotenza, la debolezza, la fragilità gli facevano paura. Si sentiva sconfitto dall’amore.
Gesù perse tutto. Sulla croce le mani pietose del Padre non c’erano più a sostenerlo. Il volto buono di Dio prese il terribile aspetto della perdizione, indifferente al suo grido di angoscia, assente, lontano. Teso fra una terra, che lo rifiutava e un cielo nel cui firmamento bigio era scritto il no di Dio, si compì il destino del Figlio dell’uomo. In questo radicale annullamento Gesù portò a compimento, attraverso il moto del
suo cuore, quello che era avvenuto nel profondo del suo essere. Si è fatto uno di noi. È stato obbediente al nostro destino. Si è totalmente consegnato al nostro bisogno. Ha percorso fino in fondo la strada degli uomini. Niente gli fu risparmiato dell’oscuro tracciato della nostra povertà. La croce, a cui fu sospeso impotente il Dio fatto uomo, è il sacramento della vera umanità, esente da compromessi, in un mondo decaduto e peccatore. “Ecce Homo”, ecco l’uomo, il nuovo germoglio, l’uomo nuovo, un virgulto, spuntato sul tronco vetusto dell’umanità!

Gesù è sceso in basso per raggiungerci là dove noi siamo, i poveri e i perduti, i tentati e i mortali, gli effimeri e i naufraghi, il cui significato e il cui essere, appena illuminato, minaccia già di struggersi lentamente sotto le mani. L’abbassarsi di Dio si compie là dove noi viviamo come alberi sfrondati, nei nostri sogni delusi e nelle speranze spezzate, nella nuda povertà del nostro essere. Egli si mette dalla nostra parte per elevarci, con lo sforzo mortale del suo cuore, nella luce del grande “sì” a questa povertà. Il Natale conduce al Calvario, all’amore più grande, alla totalità del dono di sé, che non si ferma di fronte a niente e nessuno. “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1).

La radicalità di Gesù mi mette in crisi. Spesso mi manca il coraggio di andare avanti senza indietreggiare, testimoniando un Dio “povero”, debole, umano, che piange la morte di un amico, sta dalla parte dei deboli, chiede giustizia per gli oppressi, si identifica con chi ha fame e sete, vuole perdono e misericordia per coloro che hanno sbagliato, non ha una pietra dove posare il capo, appartiene alla schiera dei falliti, viene rifiutato dai potenti … . Nella grande famiglia del mondo la mia umanità, piena di amore, è come il lievito che fa fermentare la pasta. Non lo devo mai dimenticare.
Gesù mi insegna ad essere ostinato. C’è sempre una strada che porta al cuore, dove lasciare la luce, il calore, la vita nuova, la resurrezione. Devo solo cercarla. L’amore me la indicherà. Non esistono casi disperati. Dio mi affida chi incontro. Me lo pone tra le braccia, mi chiede di amarlo con tenerezza e tenacia, perché non vada perduto. “Pasci le mie pecore!” (Gv 21, ). La fedeltà e la perseveranza sono le gocce d’acqua che fanno fiorire il deserto.

I piccoli gesti di amicizia, la condivisione, la vicinanza fraterna, il coinvolgimento nella vita fino a sentire propri i sentimenti dell’altro sono germogli che annunciano la primavera. La portano dentro il cuore. Sono i miracoli dell’Amore che fanno nuova ogni umanità.

don Franco Colombini