Sotto il Campanile 9 Gennaio 2022

Pubblicato giorno 7 gennaio 2022 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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Battesimo del Signore
09 Gennaio 2022 – Foglio n. 167
Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento (Lc 3, 22)

“Tu sei il Figlio mio, l’amato” (Lc 3, 22). Sono parole straordinarie, cariche di affetto, ammirazione, riconoscimento. Possiedono la forza di cambiare il cuore e il destino dell’umanità.
Le ha pronunciate il Padre quel lontano giorno, quando lo Spirito Santo, librandosi nel cielo come una colomba, avvolse Gesù nelle acque del Giordano.

Mi risuonano nell’animo e le sento echeggiare ogni volta che amministro il Battesimo.

Sono figlio di Dio, come Gesù. Amato e prediletto.
Da sempre è così. Nell’atto d’amore, che unisce l’uomo e la donna, rivive il gesto di Colui che dalle origini non si stanca di chiamare alla vita. È sacro,
santo, puro. Il grembo di una donna con una nuova creatura riflette lo splendore del cielo. Porta in sé un’opera forgiata dalle sue mani. Un capolavoro.
Un dono. “Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio” (Lc 1, 35).

Ogni bimbo appena concepito, uomo o donna che sia, porta impresso il marchio indelebile dell’appartenenza divina, che il tempo manifesterà in tutta la sua straordinaria bellezza.

Una Parola ne rivela il mistero: “Egli mi
ha detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato” (Salmo 2, 7). Conoscendo
la fede di mia mamma, mi piace pensare che, quando mi accarezzava con il
papà, mentre vivevo in lei, sussurrasse: “Porto in grembo un figlio ed è figlio
di Dio! Tu sei figlio di Dio!”. E la loro attesa diventava preghiera.
Karl Rahaner, un grande teologo del secolo scorso, scriveva nel 1962, quando l’Occidente era percorso dall’euforia del benessere:

“Sembra quasi impossibile oggi far capire a tutti cosa è il Natale”.

È vero anche per la nascita di un figlio. A Betlemme nella Notte Santa la verità superò i concetti, le idee rigide,
le categorie. Un “avvenimento” inaspettato istaurò un legame profondo tra il
visibile e l’invisibile, la realtà e l’Altrove, la povertà e la ricchezza, la morte e
la vita. Il Natale – anche quello di un bambino – è il fuoco vivo che annuncia
una grande verità: “Oggi vi è nato nella Città di Davide un Salvatore, che è il
Cristo Signore” (Lc 2, 11). Per ogni figlio, che viene alla luce, risuonano vere
queste parole. Giungono dall’Alto. Rivelano il pensiero di Dio. Dicono che
quella vita sarà un dono per l’umanità. Segnerà la storia.

Lascerà delle impronte incancellabili di amore. Avvolta dallo Spirito di Gesù porterà “ai poveri
un lieto messaggio, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista” (Lc 4, 18).

Ho letto infinite volte questa pagina del Vangelo nell’adolescenza, quando scrutavo il cielo per scorgere la stella da seguire.

Cercavo il mio posto nel mondo.
Sono stati giorni di fatica, di prova, di domanda. La voce del Padre mi chiamava:
“Tu sei il Figlio mio, l’amato” (Lc 3, 22).

Percepivo che mi chiedeva la vita, l’anima, il corpo, tutto, ma non sapevo cosa fare, dove andare, chi amare. La sua
volontà mi sfuggiva. Provavo inquietudine e pace insieme. Il mio cielo era vuoto,
come quello dei Magi, quando entrarono a Gerusalemme e la stella sparì dai
loro sguardi. Vivevo nell’attesa di capire. Aspettavo un segno, qualcosa che mi
potesse finalmente svelare il segreto nascosto nella mia esistenza.
A 20 anni trascorsi un mese di vacanza a Londra da studente squattrinato. Ogni
giorno per rientrare nell’ostello, che mi ospitava, attraversavo una fumeria.

C’erano giovani, ragazze e ragazzi, miei coetanei, che si davano appuntamento per
il rito del “buco”. Il cucchiaio, il fuoco, la stagnola, il limone, la roba … :

la preparazione era una vera e propria liturgia. Seduti in cerchio, si facevano passare la
siringa con l’eroina e se la infilavano in vena con avidità famelica. Pochi secondi
e diventavano zombi. Giravano a vuoto, con gli occhi spenti, persi nel nulla. Si
abbracciavano, si baciavano, biascicavano parole senza senso, incomprensibili.
Si sdraiavano sulla nuda terra, si addormentavano nel nirvana … e qualche volta
non si svegliavano più. Li osservavo con tristezza. Vivevano per darsi la morte.
Fuggivano dal mondo, che dicevano di amare. Ridotti in schiavitù da una libertà
vuota e sfrenata. Una gioventù bruciata, divorata dalla droga, sprofondata nel
nulla.
Una sera mi unii a loro. Cantai le stesse canzoni. Raccontai le mie esperienze in
latino, non conoscendo bene le lingue europee. Parlai senza paura e vergogna.
Gustai l’euforia di nuove amicizie con giovani di ogni angolo del pianeta, fino a
quando arrivò il corriere della droga. In un attimo tutto finì. In quel momento la
luce esplose come in pieno giorno. Sentii la voce tanto attesa, che mi parlava
nel profondo: “Pasci le mie pecore! Non devono andare perdute”.

Rimasi sorpreso, confuso, stordito. Non immaginavo che il Signore mi venisse a cercare
negli abissi dell’umanità. Poi esplose la gioia. Mi sentii libero come un’allodola,
contento, leggero, con una gran voglia di ballare. Fu una Notte Santa, l’epifania
della vita, la trasfigurazione delle pesantezze della storia nella grazia, l’infusione
del soffio divino, la mia seconda nascita, dalla quale non tornai più indietro.
Ora la stessa voce continua a guidarmi.

Mi porta dove la gente è più sola, dimenticata, sofferente, abbandonata, sfinita, percossa dai mille problemi quotidiani,
schiacciata dal peso di scelte sbagliate, brancolante nel buio del non senso.
Quando mi trovo tra loro, nell’umano, in una condivisione piena, stretto in una
fraternità d’acciaio, sento la stessa voce sussurrarmi nel cuore con tenerezza
infinita: “Tu sei il figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Mc
1, 11). Un’ondata di leggerezza mi accompagna. È fiamma, profumo, unzione,
colomba, roveto ardente, vento, cielo, Spirito, presenza.

I miei giorni, pur difficili
o dolorosi, non sono mai bui.

Nel tempo la voglia di spendermi cresce fino a rendermi irrequieto.

Ora ho solo un desiderio: sentire qualche “povero disgraziato”
esclamare al termine del mio cammino: “Davvero costui era figlio di Dio, perché
mi ha amato con tutto se stesso” (Mc 15, 39). Sarà per me il finale più bello.

don Franco Colombini