Sotto il Campanile 9 maggio 2021

Pubblicato giorno 7 maggio 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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VI DOMENICA di PASQUA
09 Maggio 2021 – Foglio n. 150
“Verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” (Gv 16, 2)

La Chiesa esiste. Vive il miracolo della rinascita e della santità, perché lo Spirito la sorregge. “Grazie a questo dono, il Signore resta presente nello scorrere degli eventi. È nello Spirito che possiamo riconoscere in Cristo il senso delle vicende umane. Lo Spirito Santo ci fa Chiesa, comunione e comunità incessantemente convocata, rinnovata e rilanciata verso il compimento del Regno di Dio” (Benedetto XVI). Lo Spirito risveglia la nostra coscienza, che tende ad assopirsi, conformarsi al mondo, adagiarsi nella freddezza della mediocrità o scomparire nella paura della diversità. Suscita la tenacia della testimonianza, la sostiene, anche quando sperimentiamo l’incomprensione, il rifiuto, la persecuzione. L’odio ha colpito Gesù, perché dava fastidio. Il comportamento del discepolo disturba il male degli empi. Essi rispondono all’amore con la violenza. Non vogliono il bene. Lo temono. Uccidono coloro che lo seminano. Soffocano la luce con la menzogna. Nell’ora della prova lo Spirito ci rende forti, ci dà ali per rinascere e volare alto nel cielo della santità. “I martiri sono quelli che portano avanti la Chiesa, sono quelli che la sostengono e oggi ce ne sono più dei primi secoli” (Papa Francesco). Voglio ricordare qualche martire dei nostri tempi.
In questa domenica la Chiesa proclama Beato il giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Ha scelto la data, che ricorda la visita di San Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993 e la sua famosa invettiva contro la mafia: “Dio ha detto una volta: non uccidere! Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può combattere e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di Cristo, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!”. Un intervento non previsto, entrato nella storia, scaturito dall’incontro che aveva avuto poche ore prima con i genitori di Livatino. Mamma Rosalia non riuscì a dire una parola al Papa, che le teneva le mani, guardandola con tenerezza e sofferenza. Papà Vincenzo ripeteva: “Santità, avevamo solo lui, ce lo hanno ammazzato. Hanno reciso un fiore, ma non potranno impedire che venga la primavera”. Livatino aveva svolto importantissime indagini contro la mafia, la corruzione, gli intrecci tra clan, politica ed economia. Venne ucciso mentre da solo, sulla sua utilitaria, stava recandosi al tribunale di Agrigento. Senza scorta. Pur cosciente delle minacce, non l’aveva mai voluta, per non mettere a rischio la vita di altri padri di famiglia. I gruppi mafiosi di Palma di Montechiaro e Canicattì lo colpirono per la sua dirittura morale radicata nella fede. Il capo di Cosa Nostra, che abitava nel suo stesso stabile, lo definiva con spregio “santocchio”. Sapeva di avere a che fare con un “giudice giusto”, invincibile, irriducibile ai tentativi di corruzione. Il Vangelo brillava limpido nella sua vita. Dava fastidio e lo eliminarono. Aveva 37 anni. Un martire della giustizia.

Nel 2019 per mesi e mesi la gente di Hong Kong scese compatta per la strade in difesa della libertà contro lo strapotere di Pechino. Il 31 agosto si tenne un’imponente manifestazione non autorizzata. Qualche settimana fa, il 16 aprile 2021, nove leader attivisti – dei quali cinque cattolici – sono stati condannati. Uno di loro è Lee Cheuk-yang e a breve andrà in carcere. Ha ammesso la colpa a testa alta davanti ai giudici: “Ho visto il mio ideale andare in briciole, ma io continuerò a lottare anche se l’oscurità ci circonda”. Questo uomo coraggioso ha sulle spalle 43 lunghi anni di lotte per i diritti e la democrazia. Ha dedicato tutto se stesso a una nobile causa, senza calcoli di convenienza, mezze misure, tentennamenti, anche quando le circostanze consigliavano di mollare e imboccare una strada diversa. La scelta di fare politica e di impegnarsi per la collettività viene da lontano. È il frutto maturo di convinzioni e valori profondi. Lee è un credente genuino. Appartiene alla comunità cristiana di Hong Kong, “una minoranza creativa”, un gruppo di persone coscienti di essere “un piccolo gregge”. Essere in pochi non è un alibi per il disimpegno, al contrario la molla per diventare lievito nella società. Battezzato nella Chiesa Anglicana partecipa alla vita della comunità cattolica insieme alla moglie Elizabeth, “adottata” da un missionario del Pime. “Cristo è andato incontro al suo destino sulla croce, sacrificandosi per l’umanità. L’ideale della mia vita è la valorizzazione dei poveri e il parlare in favore degli oppressi, levarsi in piedi per i loro diritti. La lotta è la mia vita. Non posso immaginare la mia vita senza di essa”. Una esistenza a servizio del popolo. Nei fatti, non a parole. Un martire della civiltà dell’amore.

Santa Gianna Beretta Molla era una mamma felice. Nacque a Magenta il 4 ottobre 1922 da genitori profondamente cristiani, Terziari francescani. Era la decima di tredici figli, cinque dei quali morirono in tenera età e tre si consacrarono a Dio. Crebbe serena, prodigandosi per i fratelli e le sorelle, senza mai stare in ozio: amava le cose belle, la musica, la pittura, lo sci, le gite in montagna. Partecipava alla vita della parrocchia, frequentava l’oratorio delle Madri Canossiane, seguiva le ragazze di Azione Cattolica. Dopo la laurea in Medicina aprì un ambulatorio a Mesero. Si interrogava sulla sua vocazione. Le lettere del fratello Padre Alberto, missionario in Brasile, maturarono in lei il desiderio di raggiungerlo per aiutarlo. La sua fragile costituzione glielo impedì. In occasione di una Prima Messa conobbe il marito Pietro Molla, a cui si legò con tutta l’anima. Si sposarono il 24 settembre 1955 nella Basilica di Magenta. Vennero alla luce tre bambini, che adorava. Seppe armonizzare con semplicità ed equilibrio i suoi doveri di mamma, di moglie, di medico e la grande gioia di vivere. Con la quarta gravidanza apparve un brutto fibroma. Le cure mettevano a rischio la vita della piccola che portava in grembo. Scelse la sua creatura. Il mattino del 21 aprile, Sabato Santo, diede alla luce Gianna Emanuela e iniziò il suo calvario. Febbre sempre più elevata e sofferenze addominali atroci per il subentrare di una peritonite settica. Morì il 28 aprile 1962, il Sabato in Albis, alle 8 del mattino, nella sua casa di Ponte Nuovo di Magenta. Aveva 39 anni. Una mamma martire.

“È il tempo della vergogna”, così Papa Francesco ha scandito dalla finestra domenica 25 aprile tutta la sua amarezza per gli innocenti annegati nel Mediterraneo. Una strage annunciata. Due giorni di lenta agonia. Il tardo pomeriggio di giovedì 22 aprile, quando, dopo una serie di allarmi inascoltati, i primi soccorritori arrivarono sul luogo della tragedia, il naufragio di 130 persone al largo della Libia era già consumato. Uomini e donne giovanissimi, bambini e neonati hanno visto spegnersi il sogno di una vita migliore negli abissi di un mare-cimitero. Complice l’omicida scaricabarile dei responsabili della sicurezza marittima e la vile assenza dei politici di ogni colore e nazionalità, che globalizzano la disumanità invece della solidarietà. La Chiesa del silenzio, martiri di un mondo migliore, che interpellano la storia e le coscienze.
Lo Spirito è invisibile. Sembra che non esista. Invece c’è. Soffia forte e semina amore. La Chiesa in uscita sulle strade del mondo – come Gesù con i due discepoli di Emmaus – è martire. Si fa compagna di strada degli uomini e delle donne del nostro tempo, specie i più poveri, emarginati, derelitti. Su tutte le ferite versa l’olio della misericordia. I martiri sono gli amici a noi vicini. Ci vogliono bene con affetto fedele e smisurato. Non si fermano davanti a niente. Sfidano il male . In loro vive Gesù, che ci ama fino alla fine.

don Franco Colombini